sabato 26 novembre 2011

Caio Valerio Catullo. Amami quando lo merito meno.

Caio Valerio Catullo

Le cose che si amano non si posseggono mai completamente.
Semplicemente si custodiscono.
Catullo

Dammi mille baci e poi cento,
poi altri mille e poi altri cento,
e poi ininterrottamente ancora altri mille e altri cento ancora.
Infine, quando ne avremo sommate le molte migliaia,
altereremo i conti o per non tirare il bilancio
o perché qualche maligno non ci possa lanciare il malocchio,
quando sappia l'ammontare dei baci.
Catullo (I sec a.C)





Pianga Venere, piangano Amore
e tutti gli uomini gentili:
è morto il passero del mio amore,
morto il passero che il mio amore
amava più degli occhi suoi.
Dolcissimo, la riconosceva
come una bambina la madre,
non si staccava dal suo grembo,
le saltellava intorno
e soltanto per lei cinguettava.
Ora se ne va per quella strada oscura
da cui, giurano, non torna nessuno.
Siate maledette, maledette tenebre
dell'Orco che ogni cosa bella divorate:
una delizia di passero m'avete strappato.
Maledette, passerotto infelice:
ora per te gli occhi, perle del mio amore,
si arrossano un poco, gonfi di pianto.
Carme II di Catullo. Epicedio del passero.


Solo con te dice la donna mia
solo con te io farei l'amore,
direi di no anche a Giove.
Dice così
ma quel che donna dice
a un amante pazzo di lei
nel vento è scritto
sull'acqua è scritto.
Catullo - LXX

Catullo e i mille baci di Lesbia

Il quinto carme è tra quelli più conosciuti di Catullo (Verona, 84 a.C. – Roma, 54 a.C.) per il messaggio assolutamente moderno che racchiude. A tutti i moralisti, rappresentati dagli anziani più severi, Catullo oppone la sua nuova filosofia della vita, che si riflette nell'esortazione a Lesbia a vivere intensamente e amare, ad abbandonarsi alla gioia di vivere. L'amore infatti è vissuto da Catullo come l'esperienza capitale della propria vita, capace di riempirla e di darle un senso, e diventa valore primario, il solo in grado di risarcire la fugacità della vita umana. Fondamentale negli ultimi versi l'uso  del termine "basium", fino ad allora evitato dalla letteratura classica perché reputato sconveniente a causa della sua accezione carnale. Il poeta anche in questo modo mostra la sua innovazione e il suo contrasto con tutto ciò che lo precede, il mondo delle tradizioni romane, ponendo al centro della sua poetica l'amore e il gioco e di conseguenza ricorrendo a termini come "basium”. Il termine avrà molta fortuna, tanto da oscurare quelli precedenti. Un tema in particolare del carme verrà ripreso poi dai poeti del periodo umanistico-rinascimentale, quello dell'edonismo, che si paleserà nel "cogliere la rosa" di Poliziano e Lorenzo De' Medici, e il tema del carpe diem, del cogliere l'attimo, che influenzerà Orazio


Godiamoci la vita, o Lesbia mia, e i piaceri d'amore;
a tutti i rimproveri dei vecchi, moralisti anche troppo,
non diamo il valore di una lira.
Il sole sì che tramonta e risorge;
noi, quando è tramontata la luce breve della vita,
dobbiamo dormire una sola interminabile notte.
Dammi mille baci e poi cento,
poi altri mille e poi altri cento,
e poi ininterrottamente ancora altri mille e altri cento ancora.
Infine, quando ne avremo sommate le molte migliaia,
altereremo i conti o per non tirare il bilancio
o perché qualche maligno non ci possa lanciare il malocchio,
quando sappia l'ammontare dei baci.
Catullo



Viviamo, o mia Lesbia, ed amiamo,
e le chiacchere dei vecchi troppo severi
valutiamole tutte insieme una moneta.
I soli possono tramontare e tornare;
noi una volta che è tramontata la breve luce,
dobbiamo dormire una sola eterna notte.
Dammi mille baci, poi cento,
poi altri mille, poi altri cento,
poi ancora altri mille, poi cento.
Poi quando ne avremo messi insieme molte migliaia,
le mescoleremo per non sapere,
o perché nessun malvagio possa farci il malocchio, sapendo che esiste questo totale di baci.
L'amore al tempo di Pompei.
Catullo, Carme 5.


Viviamo, mia Lesbia, ed amiamo,
e ogni mormorio perfido dei vecchi
valga per noi la più vile moneta.
Il giorno può morire e poi risorgere,
ma quando muore il nostro breve giorno,
una notte infinita dormiremo.
Tu dammi mille baci, e quindi cento,
poi dammene altri mille, e quindi cento,
quindi mille continui, e quindi cento.
E quando poi saranno mille e mille,
nasconderemo il loro vero numero,
che non getti il malocchio l’invidioso
per un numero di baci così alto.
Carrme V di Caio Valerio Catullo
(traduzione di Salvatore Quasimodo)

La poesia d’amore più bella di tutti i tempi (Giselda)
Catullo - Carme n.5: Da mi basia mille
"Vivamus mea Lesbia,atque amemus,
Rumoresque senum severiorum
Omnes unius aestimemus assis.
Soles occidere et redire possunt;
Nobis cum semel occidit brevis lux,
Nox est perpetua una dormienda.
Da mi basia mille, deinde centum,
Dein mille altera, dein seconda centum,
Deinde usque altera mille, deinde centum.
Dein, cum milia multa fecerimus,
Conturbabimus illa, ne sciamus,
Aut ne quis malus invidere possit,
Cum tantum sciat esse basiorum."





Anche se questo carme catulliano è un inno alla vita, un’esortazione ad abbandonarsi al sentimento amoroso da vivere con pienezza di gioia, ugualmente si insinua il pensiero dello scorrere inesorabile del tempo e della morte: “ ….occidit brevis lux, nox est perpetua…..”. E’ forse assente il senso tragico della vita della poesia greca, ma non per questo il carme risulta meno emotivamente coinvolgente. A rendercelo oltremodo caro, almeno per me e ne sono sicura per tanti altri, i ricordi delle prime infatuazioni giovanili. [...]  [in] questo carme, [che] è fondamentalmente un inno alla vita e alle gioie d’amore, non è del tutto assente “il pensiero dello scorrere inesorabile del tempo e della morte” congiunto col timore superstizioso che una qualche forza ostile sia in agguato “….nequis malus invidere possit….”. 



Condivido: è la poesia d'amore più bella che io abbia mia letto. Nessuna l'ha mai superata, per me



La poesia greca ellenistica e la lirica arcaica verso le quali Catullo riconosceva reverente il proprio debito non sono inferiori, anzi...e dire che Catullo è di certo il più straordinario dei poeti latini, peccato che un'educazione puritana tutta italiana abbia obliato gli altrettanto splendidi e più numerosi carmi dedicati a Giovenzio...



Sinceramente non è la poesia di Catullo che più ho amato...non vi trovo la fatalità greca del destino e della morte di Saffo, Anacreonte, degli alessandrini, di Meleagro di Gadara...d'accordo, ho sempre preferito il greco, ma avete mai letto la bellissima traduzione catulliana della Chioma di Berenice? Stupenda!



Catullo, carme 51 e il fr. 31.
Ille mi par esse deo videtur,
ille, si fas est, superare divos,
qui sedens adversus identidem te
spectat et audit
dulce ridentem, misero quod omnes
eripit sensus mihi: nam simul te,
Lesbia, aspexi, nihil est super mi
<vocis in ore;>
lingua sed torpet, tenuis sub artus
flamma demanat, sonitu suopte
tintinant aures, gemina teguntur
lumina nocte.
otium, Catulle, tibi molestum est:
otio exsultas nimiumque gestis:
otium et reges prius et beatas
perdidit urbes.
(carme 51, liber I)


A me sembra beato come un dio
quell’uomo che seduto a te di fronte
t’ascolta, mentre stando a lui vicino
dolce gli parli
e ridi con amore; si sgomenta
il cuore a me nel petto, non appena
ti guardo un solo istante, e di parole
rimango muta.
La voce sulla lingua si frantuma,
sùbito fuoco corre sottopelle,
agli occhi è cieca tenebra, e agli orecchi
rombo risuona.
Sudore per le membra mi discende
e un brivido mi tiene; ancor più verde
sono dell’erba; prossima alla morte
sembro a me sola.
Saffo (fr. 31 W.)






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