lunedì 16 gennaio 2012

Gaetano Salvemini. La realtà è che quando un clericale usa la parola libertà intende la libertà dei soli clericali (chiamata libertà della Chiesa) e non le libertà di tutti. Domandano le loro libertà a noi laicisti in nome dei principi nostri, e negano le libertà altrui in nome dei principi loro

«Il mondo sarebbe molto più pacifico, se fossimo tutti atei.» 
José Saramago, Premio Nobel per la Letteratura nel 1998.


Le religioni sono come le lucciole: per brillare hanno bisogno del buio.
Arthur Schopenhauer, Parerga e paralipomena, 1851 Dalla bacheca di Angelica Diamante.


La realtà è che quando un clericale usa la parola libertà intende la libertà dei soli clericali (chiamata libertà della Chiesa) e non le libertà di tutti. Domandano le loro libertà a noi laicisti in nome dei principi nostri, e negano le libertà altrui in nome dei principi loro
Gaetano Salvemini


La libertà significa il diritto di essere eretici, non conformisti di fronte alla cultura ufficiale e che la cultura, in quanto creatività sconvolge la tradizione ufficiale
Gaetano Salvemini

«Noi non possiamo essere imparziali. Possiamo essere soltanto intellettualmente onesti: cioè renderci conto delle nostre passioni, tenerci in guardia contro di esse e mettere in guardia i nostri lettori contro i pericoli della nostra parzialità. L’imparzialità è un sogno, la probità è un dovere.»
Gaetano Salvemini, storico, politico e antifascista italiano


Molte volte per spiegare, o peggio ancora per giustificare, gli spropositi e le porcherie fatte ieri e oggi dai politicanti italiani di ogni denominazione, si ripete che “gli italiani son fatti così” e la botte non può dare che il vino che ha.
Giolitti ai suoi tempi diceva che il popolo italiano era gobbo e – lui – non poteva fare a un gobbo altro che un abito da gobbo. E certo il popolo italiano era gobbo. Ma Giolitti invece di tentare quanto sarebbe stato possibile per farlo, non dico dritto come un fuso, ma un gobbo meno gobbo di quanto egli aveva trovato, lo rese più gobbo di quanto fosse prima. Poi venne Mussolini e disse che il popolo italiano era buono a nulla. Poi sono venuti molti – troppi – antifascisti e anch’essi dicono che il popolo italiano è fatto così. Dove tutti sono responsabili, nessuno è responsabile.
La verità è che dove tutti sono responsabili, ciascuno è responsabile per la parte che gli spetta, in proporzione della sua capacità a fare il bene o fare il male, e in proporzione del male che ha realmente fatto e non ha cercato di impedire. Un contadino sardo è anche lui responsabile per la sua quarantacinquemilionesima parte di quanto avviene oggi in Italia. Ma un Ministro che sta a Roma è infinitamente più responsabile che un contadino sardo, per quel che avviene col suo consenso, o per suo ordine, o con la sua complice passività.
Gli italiani furono responsabili per non aver mandato al diavolo il re col suo duce, sebbene, a dire il vero, sia difficile spiegare che cosa gli italiani avrebbero potuto fare, ridotti come erano a polvere incoerente e passiva da un’organizzazione di pretoriani armati e da una polizia onnipotente. Ma lui il re, che non correva nessun pericolo di essere bastonato o mandato al domicilio coatto e in galera, lui, il re che aveva ai suoi ordini un esercito, non ebbe dunque nessuna responsabilità nelle vigliaccherie e nelle perfidie per cui rimarrà immortale nella storia?
Sissignori, gli italiani presi uno per uno sono quello che sono. Ma grazie al cielo, non tutti sono allo stesso modo. Ve ne sono alcuni che…sono fatti diversamente.
Quanti siano stati partigiani in Italia fra il settembre 1943 e l’aprile 1945 nessuno saprà mai. Il comandante delle truppe angloamericane ammise che nei primi mesi del 1945 essi distrassero dal fronte di combattimento sei divisioni nazifasciste. Sei divisioni, anche calcolando diecimila uomini per divisione, fanno 60.000 uomini. Per tenere a bada 60.000 uomini bene armati, organizzati alla tedesca sotto una direzione centrale, quei partigiani scalcagnati, divisi in gruppi scombinati, senza rapide comunicazioni, e con un direzione centrale che funzionava come Dio voleva, devono essere stai almeno tre volte più numerosi delle divisioni nazifasciste. Dunque non corriamo pericolo di esagerare se mettiamo che nei primi mesi del 1945 vi erano nell’Italia del Nord non meno di 180.000 partigiani. Ma mettiamo fossero non più di 100.000. Dietro a quei 100.000 uomini di prima linea, c’erano le seconde e le terze linee, senza il cui favore la prima linea non avrebbe potuto tenere duro per mesi. Se calcoliamo tre persone (uomini e donne) di seconda e terza linea per ogni uomo di prima linea, siamo certi di non esagerare. Abbiamo dunque un totale di 100.000 più 300.000 uomini e donne: cifra tonda 400.000 italiani.
Non tutti sono stinchi di santo. D’accordo. Molti erano anch’essi fatti così. D’accordo. Facciamo una tara della metà. Facciamo una tara dei due terzi. Facciamo una tara dei tre quarti. Si potrebbe essere più pessimisti di così? Restano sempre 100.000 uomini e donne, in tutti i partiti e fuori di tutti i partiti, che erano fatti diversamente.
E quand’anche gli italiani che sono fatti diversamente, fossero non centomila, ma appena mille, cento, dieci, uno solo, quell’uomo solo – degno di rispetto e non carogna – dovrebbe tener duro e non mollare. E sarebbe dovere approvarlo, incoraggiarlo, sostenerlo e non dirgli: “Pensa alla salute, tira a campare, chi te lo fa fare, bada ai fatti tuoi, lascia correre: gli italiani son fatti così”.
Un uomo degno di rispetto è una ricchezza che non si deve buttare via. Chi sa? Quell’uomo solo potrebbe diventare, quando meno lui stesso se lo aspetta, centro d’attrazione e di cristallizzazione per molti altri.
Gaetano Salvemini – Gli italiani sono fatti così, 1947.


Il problema della scuola italiana? Genitori pelandroni
La lezione attualissima di Gaetano Salvemini in un libro di Gaetano Pecora dedicato ai principi della scuola laica: “Le famiglie mandano i figli a scuola , come li mandano a messa, come li lasciano andare al postribolo se si tratta di maschi, o a nozze se si tratta di donne”

Una lezione in una scuola italiana nei primi del Novecento




NICCOLÒ GAETANI, 12/10/2015
[...] Gaetano Salvemini, figura di spicco del partito socialista italiano dei primi del ‘900, fondatore del quotidiano “L’Unità” e autore di diverse opere sull’istruzione. Ripercorrendo il suo pensiero, brillantemente analizzato nel saggio “La scuola laica” di Gaetano Pecora (Pubblicato da Donzelli), ci si imbatte in questioni che in realtà sono attualissime. Altro che secolo scorso… 

I poteri del super-preside
L’articolo 9 della riforma, quello sulle competenze del dirigente scolastico, è stato senza dubbio il più contestato. D’ora in avanti sarà infatti il capo d’istituto a decidere su assunzioni e licenziamenti, valutazioni e premi in denaro per i docenti. E ai dirigenti toccherebbe, inoltre, la predisposizione del Piano triennale dell’offerta formativa. Sono “superpoteri” che potrebbero creare un clima di eccessiva competitività tra gli insegnanti, a discapito del ruolo educativo della scuola, e che farebbero gridare allo scandalo uno come Salvemini, contrario a ogni forma di centralizzazione del potere che potesse minare la libera concorrenza di idee. E se nei primi del ‘900 bastava un nulla perché l’insegnante eterodosso fosse punito dal patrono del luogo con trasferimento per ragioni di servizio, allo stesso modo oggi le tante facoltà attribuite ai presidi rischiano di “espropriare i docenti delle loro idee e di annullarli tutti in una sciatta e desolata uniformità”. Perché o è la scuola della concorrenza di idee opposte o non è, pensava Salvemini, prima di aggiungere: “Noi dobbiamo affermare l’indipendenza dell’insegnante nella scuola pubblica, da tutte le chiese e da tutti i partiti politici”.

Queste sue convinzioni, allo stesso tempo socialiste (nei fini di giustizia) e liberali (nel metodo), lo porterebbero ad avere nei confronti dei presidi la stessa avversione che al tempo provava per clericali e massoni. Come sottolinea Pecora, infatti, “Salvemini si era speso perché nessun docente smarrisse il centro della propria vita, quel centro che per ognuno è l’autonomia della coscienza morale… Per sciogliere gli insegnanti dal sistema di ricatti e intromissioni che appunto quella vita e quella coscienza morale piegavano all’arbitrio di altri”.

Scuola pubblica o scuola privata?
Fin dal 1907, anno in cui a Napoli si svolse il sesto congresso degli insegnanti delle scuole medie, Salvemini – un socialista sui generis, dicevamo, ma anche e soprattutto un educatore - non ebbe remore a individuare nella libera concorrenza il fondamento degli istituti laici. Concorrenza, quindi, anche con le paritarie: “Chi ha miglior filo, tesserà migliore tela. A questo punto, però, l’intellettuale pugliese precisa che “i poteri pubblici alle scuole private non devono concedere sussidi o protezioni di nessun genere”. Guai a riservare loro un trattamento privilegiato, come di fatto ha deciso di fare Renzi (e prima di lui, è bene ricordarlo, il governo di centro-sinistra, nel 2000, e il governo Berlusconi nel 2005) perché “sugli umori del mercato potrebbe nascere la muffa parassita del dumping”.

L’assunto da cui parte l’attuale governo è però diverso: con i dieci milioni di studenti della scuola statale e il milione e passa che frequentano la non statale, si può dire che il sistema di educazione pubblica nazionale poggi ormai su due gambe. Così si spiegano gli incentivi previsti dal nuovo disegno di legge: lo school bonus, finanziamenti che partner privati potranno devolvere agli istituti scolastici, e la detrazione fiscale (fino a 400 euro l’anno) per coloro che mandano i figli nelle scuole paritarie. Il 5 per mille è stato invece stralciato, per il pericolo che si potesse aggravare la sperequazione tra scuole ricche e povere della stessa città e di aree diverse del Paese. Un rischio, sostengono i critici, tutt’altro che scongiurato. I finanziamenti – e comunque la maggior parte di essi - verranno infatti indirizzati verso quegli istituti frequentati da figli di benestanti. Una pratica già molto diffusa nel nord Italia, dove privati, fondazioni e imprese da tempo aiutano le scuole. Questo processo punta deciso verso la “aziendalizzazione” della scuola pubblica, a favore dei dirigenti scolastici e dei loro sponsor territoriali. Funzionerà?
La risposta in questo caso Salvemini la fornisce in un editoriale apparso sull’Unità il 17 aprile 1914, nel quale, smessi i panni dell’erudito pacato e liberale, con ironia e un sarcasmo vagamente anticonformistico esprime la sua analisi sociale:

“… Il cattivo funzionamento di tutte le scuole non si deve attribuire tanto all’essere o non essere pubbliche o private, quanto all’indifferenza che tutte le famiglie, di qualunque partito o di nessun partito, hanno per la scuola. Le famiglie mandano i figli a scuola , come li mandano a messa, come li lasciano andare al postribolo se si tratta di maschi, o a nozze se si tratta di donne. Dove c’è scuola pubblica, mandano il figlio alla scuola pubblica; dove c’è la sola scuola privata, lo mandano alla scuola privata; dove c’è una scuola pubblica e una privata, lo mandano alla scuola privata dopo che è stato bocciato alla scuola pubblica, oppure preferiscono la scuola privata perché fornita di un convitto che consenta loro di sbarazzarsi del tutto del caro rampollo… L’Italia è un paese di pelandroni: clericali, anticlericali, conservatori, rivoluzionari, pubblici, privati, sono tutti eguali – questa è la verità; e questa è la spiegazione del cattivo funzionamento di tutte le scuole, e non solo delle scuole!”.

http://www.lastampa.it/2015/10/12/cultura/il-problema-della-scuola-italiana-genitori-pelandroni-coGyHWK1RrjaRXKzE6TGeN/pagina.html






 

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