sabato 31 maggio 2014

Biko. L’arma più potente nelle mani dell’oppressore è la mente dell’oppresso


L’arma più potente nelle mani dell’oppressore è la mente dell’oppresso
Steven Bantu Biko, attivista sudafricano anti-apartheid assassinato dalla polizia a soli 31 anni il 12 settembre 1977

Studente di medicina all’Università di Natal (Sudafrica), sezione separata per i neri, divenne giovanissimo un attivista politico e nel 1969 fondò il movimento Black Consciousness che aveva come obiettivo l’autoriconoscimento dei neri e la loro valorizzazione in quanto tali. “Coscienza nera” significava rinascita politica e culturale di un popolo oppresso. Biko seppe rispondere immediatamente alle accuse di razzismo, il suo movimento non andava contro i bianchi, bensì muoveva la coscienza autonomamente, senza il bisogno di riconoscimento da parte loro.

La situazione sudafricana esplose il 16 giugno del ’76 con la manifestazione di protesta di Soweto, scaturita in una “bloody sunday” africana che provocò almeno cento vittime tra i manifestanti e che segnò l’inizio di una rivolta nazionale repressa nel sangue.

Il movimento di Biko, radicale e non-violento, viaggiò sempre parallelamente al più noto African National Congress nel quale militava Nelson Mandela, anche se poco prima del suo arresto Biko preparava un’alleanza che certo poco avrebbe giovato al regime dell’apartheid.

Steve Biko venne arrestato nel settembre del ’77, fu torturato, incatenato crocifisso alla sua cella, nudo, colpito fino a fracassargli il cranio. L’11 settembre del 1977 era in condizioni critiche, si decise allora di portarlo in ospedale, da Port Elizabeth dov’era detenuto a Pretoria, a più di mille chilometri di distanza. Venne ammanettato e ficcato nudo nel baule di una Land Rover, dove restò per tutto il viaggio. Fu la sua ultima notte. 

Una giovane vita rivoluzionaria stroncata troppo presto. Con l'unica consolazione che Biko non avrebbe mai scambiato la sua breve ma combattiva vita con il raggiungimento della vecchiaia senza lottare. Un giorno disse:
“O sei vivo e fiero, o sei morto, e se sei morto, allora che t’importa?”





Daniel Paul Schreber. Memorie. Della eccezionale importanza di questo testo si accorse per primo Jung, che lo citava già nel 1907 e lo fece leggere a Freud nel 1910." "La lettura di queste Memorie fece cristallizzare in Freud la teoria della paranoia, e così nacque il suo famoso saggio universalmente noto come «il caso Schreber»

Daniel Paul Schreber, presidente della Corte d’Appello di Dresda, figlio di un illustre educatore dalle idee ferocemente rigide, ebbe nel 1893, a cinquantun anni, una grave crisi nervosa ed entrò nella clinica psichiatrica di Lipsia, affidandosi all’autorità del suo direttore, l’anatomista P.E. Flechsig. La crisi aveva avuto inizio quando un giorno, nel dormiveglia, il presidente Schreber si era trovato a pensare che «dovesse essere davvero molto bello essere una donna che soggiace alla copula». A partire da questo punto si sviluppò in lui un prodigioso delirio, che lo fece passare per tutti gli estremi della tortura e della voluttà, coinvolgendo dèi, astri, demiurghi, complotti, «assassinii dell’anima», catastrofi cosmiche, rivolgimenti politici. Al centro di tutto erano la convinzione, in Schreber, di trovarsi vicino a essere trasformato in donna, e la sua lotta stremante contro un Dio doppio e persecutore. È comunque difficile dare un’idea in poche parole della sconvolgente architettura di immagini, nessi, illuminazioni tragiche e comiche che il lettore incontrerà in questo libro, scritto da Schreber dopo sei anni di malattia, con lo scrupolo di uno specchiato magistrato prussiano, con fermo rigore logico, con sprazzi di paurosa intelligenza, con la cupa determinazione di un trattatista gnostico, allineando pacatamente la sequenza di enormità che aveva vissuto e ragionandoci sopra. Con queste Memorie egli voleva, fra l’altro, dimostrare di non essere pazzo – e incredibilmente ci riuscì, sicché il suo ricorso in appello contro la sentenza di interdizione venne accolto, permettendogli di tornare a vivere per qualche tempo nella società.
Della eccezionale importanza di questo testo si accorse per primo Jung, che lo citava già nel 1907 e lo fece leggere a Freud nel 1910. Anche Freud ne fu subito molto impressionato, e scrisse a Jung che Schreber «avrebbe dovuto essere fatto professore di psichiatria». La lettura di queste Memorie fece cristallizzare in Freud la teoria della paranoia, e così nacque il suo famoso saggio universalmente noto come «il caso Schreber», che sarà una delle occasioni su cui scoppierà il dissenso con Jung. Ben meno conosciute – fra l’altro perché la famiglia di Schreber sequestrò gran parte dell’edizione originale – sono le Memorie, che invece meritano di essere considerate uno dei libri-chiave della nostra epoca. E infatti nel corso degli anni, e soprattutto in questi ultimissimi tempi, un nugolo di interpretazioni si è addensato intorno a esse, sicché questo testo è diventato una sorta di prova del fuoco della teoria psicoanalitica, come ha visto Lacan nel lungo saggio che gli ha dedicato. Ma, anche al di fuori del contesto psicoanalitico, le Memorie di Schreber agiscono come una provocazione potente: basterà ricordare le memorabili pagine su Schreber in Massa e potere di Elias Canetti, che illuminano il rapporto fra paranoia e potere politico. Alla fine del volume, nella Nota sui lettori di Schreber di Roberto Calasso, il lettore troverà una analisi dei più importanti studi che su questo libro sono stati scritti negli ultimi ottant’anni.
Le Memorie sono apparse per la prima volta nel 1903.


venerdì 30 maggio 2014

Margaret Mead. Essere sorelle è probabilmente la parentela più competitiva all'interno della famiglia, ma una volta che le sorelle sono cresciute, diventa la relazione più forte

«Non dubitate che un piccolo gruppo di cittadini coscienti e risoluti non possa cambiare il mondo. 
In fondo è così che è sempre andata»
Margaret Mead



“Essere sorelle è probabilmente la parentela più competitiva all'interno della famiglia, ma una volta che le sorelle sono cresciute, diventa la relazione più forte.”
Margaret Mead







Giano - Culsans. Esiste il corrispettivo etrusco del dio Giano e noi lo proponiamo. Particolare della statuetta bronzea del dio etrusco Culsans, da Cortona IV -III secolo a.C. Museo etrusco di Cortona. Culsans nella mitologia etrusca è il dio delle porte. Ha molte affinità con il dio romano Giano. Infatti, vengono rappresentati entrambi bifronti e si ritiene che avessero funzioni simili. Si distingue, nell'aspetto, da Giano, per l'assenza della barba e per i lineamenti tipicamente giovanili.

"Giano (latino: Ianus) è il dio degli inizi, materiali e immateriali, ed è una delle divinità più antiche e più importanti della religione romana, latina e italica. Di solito è raffigurato con due volti, poiché il dio può guardare il futuro e il passato. [...]

Etimologia
Già gli antichi mettevano il nome del dio in relazione al movimento: Macrobio e Cicerone lo facevano derivare dal verbo ire "andare", perché secondo Macrobio il mondo va sempre, muovendosi in cerchio e partendo da sé stesso a sé stesso ritorna. Gli studiosi moderni hanno confermato questa relazione stabilendo una derivazione dal termine ianua, "porta", ma è con Georges Dumézil che il senso si precisa: il nome Ianus deriverebbe infatti dalla radice indoeuropea *ei-, ampliata in *y-aa- con il significato di "passaggio" che, attraverso una forma *yaa-tu, ha prodotto anche l'irlandese ath, "guado".
[...] È un dio nettamente romano e non esisteva un equivalente greco. Il suo nome in greco è 'Ιανός' (Ianós). [...]

Il console e augure Marco Valerio Messalla Rufo scrive nel libro sugli Auspici che Giano è colui che plasma e governa ogni cosa e unì circondandole con il cielo l'essenza dell'acqua e della terra, pesante e tendente a scendere in basso, e quella del fuoco e dell'aria, leggera e tendente a sfuggire verso l'alto, e che fu l'immane forza del cielo a tenere legate le due forze contrastanti. Settimio Sereno lo chiama "principio degli dèi e acuto seminatore di cose".

Giano presiede infatti a tutti gli inizi e i passaggi e le soglie, materiali e immateriali, come le soglie delle case, le porte, i passaggi coperti e quelli sovrastati da un arco, ma anche l'inizio di una nuova impresa, della vita umana, della vita economica, del tempo storico e di quello mitico, della religione, degli dèi stessi, del mondo, dell'umanità (viene infatti chiamato Consivio, cioè propagatore del genere umano, che viene seminato per opera sua), della civiltà, delle istituzioni. [...]

Giano era preposto alle porte (ianuae), ai passaggi (iani) e ai ponti: ne custodiva l'entrata e l'uscita e portava in mano, come i portinai, gli ianitores, una chiave e un bastone, mentre le due facce vegliavano nelle due direzioni, a custodire entrata e uscita.  [...]
http://it.wikipedia.org/wiki/Giano_(divinit%C3%A0)






http://it.wikipedia.org/wiki/Giano_(divinit%C3%A0)




[...] esiste il corrispettivo etrusco del dio Giano e noi lo proponiamo.
Particolare della statuetta bronzea del dio etrusco Culsans, da Cortona IV -III secolo a.C.
Museo etrusco di Cortona.
Culsans nella mitologia etrusca è il dio delle porte. Ha molte affinità con il dio romano Giano. 
Infatti, vengono rappresentati entrambi bifronti e si ritiene che avessero funzioni simili.
Si distingue, nell'aspetto, da Giano, per l'assenza della barba e per i lineamenti tipicamente giovanili.



Esiste anche una divinità femminile etrusca bifronte chiamata culsu, che vigila sulla porta d'accesso all'oltretomba



L'Arco di GIANO, dalla struttura quadrifronte (perduto l'attico, visibile nel disegno accanto alla foto) era un arco onorario dedicato a Giano, il Dio bifronte che regnava su ogni luogo di passaggio, purificando gli animi di tutti coloro che attraversavano l'Arco. A Giano era affidato l'inizio dell'anno nel calendario di Numa, cosi' come il mese che lo apriva: IANUARIUS.
Una curiosita'...
Proprio nei pressi dell'Arco,accostandosi al piccolo vicolo di fronte alla Chiesa del Velabro, si trova uno dei due ingressi principali della CLOACA MAXIMA.



Ecco l'origine del Giubileo: passare sotto a un Arco per purificare gli animi!
È uno scopiazzamento, un assorbimento totale di tradizioni antiche, romane, greche ecc



Giò Pischedda 

La parola sarda "janna" (o "genna" in altre varianti locali) significa porta e deriva dal latino "janua" che ugualmente significa porta...
Qui in Sardegna si trova nei toponimi e viene ancora usata nei paesi dell'entroterra o da persone molto anziane.
L'idea di purificazione legata all'attraversamento di un arco o di una porta attraversa indenne i millenni.





giovedì 29 maggio 2014

29 maggio 1176: la Lega Lombarda sconfigge l'imperatore Federico I Barbarossa nella Battaglia di Legnano. L'antefatto: tra i Comuni medievali, quelli lombardi avevano ottenuto dai feudatari molte libertà ma erano rimasti sudditi dell'Impero germanico, che considerava la Lombardia parte del Regno d'Italia. Da molto tempo, tuttavia, gli imperatori germanici non si occupavano del Regno, impegnati com'erano a lottare contro i feudatari tedeschi e contro il papa. I Comuni erano molto solerti nel manifestare a parole la loro devozione verso l'imperatore, però battevano moneta per conto proprio, imponevano tasse e si facevano la guerra come e quando volevano. Tutto questò durò finché nel 1152 salì sul trono il duca di Svevia Federico di Hohenstaufen (1152-1190), che in Italia sarà detto "Barbarossa". Egli era un uomo energico che si era prefisso la missione di far rispettare nei suoi territori l'autorità imperiale.


‎accaddeoggi‬ 29 maggio 1176: la Lega Lombarda sconfigge l'imperatore Federico I Barbarossa nella Battaglia di Legnano.
L'antefatto:
tra i Comuni medievali, quelli lombardi avevano ottenuto dai feudatari molte libertà ma erano rimasti sudditi dell'Impero germanico, che considerava la Lombardia parte del Regno d'Italia. Da molto tempo, tuttavia, gli imperatori germanici non si occupavano del Regno, impegnati com'erano a lottare contro i feudatari tedeschi e contro il papa. I Comuni erano molto solerti nel manifestare a parole la loro devozione verso l'imperatore, però battevano moneta per conto proprio, imponevano tasse e si facevano la guerra come e quando volevano.
Tutto questò durò finché nel 1152 salì sul trono il duca di Svevia Federico di Hohenstaufen (1152-1190), che in Italia sarà detto "Barbarossa".
Egli era un uomo energico che si era prefisso la missione di far rispettare nei suoi territori l'autorità imperiale.
Così, quando nel corso di una Dieta i rappresentanti di Lodi gli espressero le loro lagnanze per la prepotenza della città di Milano (la accusavano di soffocare con la violenza i commerci di tutti i Comuni vicini), Federico ne approfittò e inviò a Milano un suo ambasciatore, ingiungendo il Comune di prestargli obbedienza. I Milanesi risposero stracciando le lettere imperiali e costrinsero l'inviato a una fuga precipitosa. La posta in gioco era molto alta, perché le libertà comunali avevano reso Milano una città ricchissima, lanciata alla conquista di mercati in Germania e nelle altre città padane.
Nel 1158 l'imperatore scese in Italia e convocò la Dieta di Roncaglia. In essa l'imperatore Barbarossa riaffermò la propria esclusiva competenza sulle regalìe (i diritti di imporre tasse, battere moneta, stipulare contratti ecc.) e dispose che in ogni città si insediasse un governatore di nomina imperiale, proibendo qualsiasi altra forma di organizzazione politica.
Papa Alessandro III (1159-1181), ostile al Barbarossa, si schierò con i Comuni. L'imperatore reagì nominando un antipapa e, dopo un lungo assedio, rase al suolo Crema (1159) e distrusse Milano (1162).
Dopo questi episodi alcuni comuni veneti e lombardi si riunirono in due leghe difensive che si fusero, poi, nel 1167 nella Lega Lombarda, cui aderì anche il pontefice.
Lo scontro decisivo con Barbarossa avvenne nel 1176 a Legnano, dove le truppe imperiali vennero duramente sconfitte.
Un'ultima nota: alla storica Battaglia di Legnano fa riferimento l' "Inno d'Italia", che recita «Dall'Alpi a Sicilia dovunque è Legnano».
Amos Cassioli (1832-1891), "La battaglia di Legnano", presso la Galleria d'Arte Moderna di Palazzo Pitti, Firenze.


Secondo Sofocle fu proprio Palamede a inventare i dadi,come del resto anche gli scacchi, come passatempo per i suoi commilitoni impegnati nel decennale quanto noiosissimo assedio di Troia. Secondo Erodoto, invece, i dadi sarebbero stati inventati dagli abitanti dell Lidia ai tempi di Re Atys. Gli archeologi li hanno smentiti entrambi: dadi rituali per divinare, fatti con astragali marcati su quattro facceil futuro,erano già in uso in tempi preistorici, mentre il più antico dado cubico con facce numerate da 1 a 6 risale al 2000 a.C. ed è stato rinvenuto in Egitto.



Secondo Sofocle fu proprio Palamede a inventare i dadi,come del resto anche gli scacchi, come passatempo per i suoi commilitoni impegnati nel decennale quanto noiosissimo assedio di Troia. Secondo Erodoto, invece, i dadi sarebbero stati inventati dagli abitanti dell Lidia ai tempi di Re Atys. Gli archeologi li hanno smentiti entrambi: dadi rituali per divinare, fatti con astragali marcati su quattro facceil futuro,erano già in uso in tempi preistorici, mentre il più antico dado cubico con facce numerate da 1 a 6 risale al 2000 a.C. ed è stato rinvenuto in Egitto. 
Andrea Angiolino e Beniamino Sidoti, Dizionario dei giochi, Zanichelli, Bologna, 2010, pag. 324







Timeo Danaos et dona ferentes” - “Temo i Greci, anche quando portano doni
QUESTA FRASE GRIDÒ, LAOCOONTE, VEGGENTE E SACERDOTE TROIANO DI FRONTE AL CELEBRE CAVALLO CHE ERA STATO PORTATO DENTRO LE MURA DELLA CITTÀ. Atena, che parteggiava per i greci, punì Laocoonte mandando Porcete e Caribea, due enormi serpenti marini che uscendo dal mare avvinghiarono i suoi due figli, stritolandoli: il sacerdote cercò di accorrere in loro aiuto ma subì la stessa sorte.
Laocoonte e i suoi due figli lottano con i serpenti. Opera greca della scuola di Rodi (II sec.a.C.), ritrovato a Roma nel '500 ridotto in più frammenti e fu oggetto di un pesante restauro.




TROIA E LA "FOLLIA" DI SCHLIEMANN.
[...] Schliemann [scelse], in pieno secolo decimonono, Zeus come Dio e a lui indirizzando le sue preghiere, battezzando Agamennone suo figlio, Andromaca sua figlia, Penelope e Telamone i suoi servitori, e dedicando a Omero tutta la sua vita e i suoi quattrini.
Era un matto, ma tedesco, cioè organizzatissimo nella sua follia che la buona sorte volle ricompensare

La prima storia che gli raccontò suo padre, quando aveva cinque o sei anni, non fu quella di Cappuccetto Rosso, ma quella di Ulisse, di Achille e di Menelao. Ne aveva otto, quando annunziò solennemente in famiglia che intendeva riscoprire Troia e dimostrare, ai professori di storia che lo negavano, ch'essa era realmente esistita. 
[Da adulto, dopo aver divorziato...] mise un annunzio su un giornale chiedendo un'altra moglie, purché fosse greca. La sposò sui due piedi secondo un rito omerico.
Nel 1870 [in Asia Minore] trascorse l'inverno, in un freddo siberiano, a far buchi con sua moglie e i suoi sterratori. Dopo dodici mesi di sforzi inutili e di spese folli, da scoraggiare qualunque apostolo, un giorno un piccone urtò in qualcosa che non era la solita pietra ma una cassa di rame che, scoperchiata, rivelò agli occhi esaltati di quel fanatico ciò che egli subito chiamò "il tesoro di Priamo":migliaia e migliaia di oggetti d'oro e d'argento.

Schliemann telegrafò al Re di Grecia: Maestà, ho ritrovato i vostri antenati."

[Indro Montanelli]

LA CITTA’ DEL MITO. DAL 3.000 a.C. al 400 d.C. STRATO SU STRATO.
Troia è di certo la più famosa città della protostoria mediterranea: scoperta sulla piatta collina di Hissarlik, situata nell'ampia valle dello Scamandro, alla confluenza col Simoenta, a circa 6 km dalla costa occidentale dell'Anatolia settentrionale, presso lo sbocco dei Dardanelli, in un punto strategico all'incrocio dei passaggi dall'Asia all'Europa, all'ingresso del Mar Nero, in una regione di miniere di argento. Il toponimo T. ha probabilmente il significato di un nome comune (Esichio: τροία = πόλις), ma la città era conosciuta anche col nome proto-hittita (preindoeuropeo) di Ilio.

La collina di Hissarlik era nota ai Turchi come "la fortezza", a causa delle mura in rovina che la ricoprivano ed era stata identificata fin dagli inizi del secolo scorso, per le iscrizioni che vi si erano trovate, come il sito della Ilion ellenistica e romana; l'esistenza della città omerica era negata dalla maggior parte degli studiosi che escludevano che i poemi omerici avessero una qualche consistenza storica. 

Il primo ad avanzare l'ipotesi che la Troia omerica fosse realmente esistita e si trovasse nel medesimo sito della più tarda città ellenistica e romana fu C. Maclaren nel 1822; alla stessa conclusione giungeva nel 1864, dopo qualche saggio di scavo, F. Calvert, mentre altri cercava T. in una località fornita di sorgenti calde e fredde, su una collina presso lo Scamandro, accanto al piccolo villaggio di BunarbaŞi. Calvert, console americano a Kannakkale e possidente di parte del colle di Hissarlik, nel 1868 mostrò il luogo allo Schliemann, alla cui fede appassionata si deve la scoperta delle rovine di Troia e il riconoscimento sul colle famoso di tenaci segni di abitazioni umane protrattesi senza interruzione dalla prima Età del Bronzo alla fine dell'epoca romana (dal 3.000 a. C. al 400 d C. circa). 

Schliemann compì dal 1870 al 1890 sette campagne di scavo.
Nelle sue prime esplorazioni aveva distinto sette livelli sovrapposti designati come città, ma dopo le ricerche del Dörpfeld i livelli salirono a nove ed i successivi scavi americani, soffermandosi specialmente sui primi strati trascurati dai precedenti scavatori (dal I al V), hanno introdotto nell'ambito dei singoli strati numerose suddivisioni fino a raggiungere il numero di 46.

I PERIODI E GLI STRATI.
I periodi da Troia I a Troia V incluso appartengono ad un'era che corrisponde all'antica Età del Bronzo egea, mentre l'inizio di Troia VI segna il principio della media Età del Bronzo; il sesto stanziamento continuò fino all'ultima parte della tarda Età del Bronzo. Con Troia VII un brusco cambiamento segna l'arrivo di un nuovo popolo che poi lasciò deserto il luogo fino al sopraggiungere dei coloni greci (circa 700 a.C.) a cui si deve lo strato di Troia VIII. Troia IX è la città romana di Ilium novum. 

Grandi difficoltà ha presentato il tentativo di istaurare una cronologia assoluta per gli strati più antichi, quelli cioè anteriori a Troia VIII: 
mancano infatti in quest'epoca documentazioni epigrafiche e solamente per pochi degli oggetti di importazione (soprattutto cicladica e successivamente micenea) si conoscono i dati stratigrafici di ritrovamento. 

Nell'ambito delle principali suddivisioni da Troia I a Troia V, e cioè nella prima Età del Bronzo, sono stati riconosciuti attualmente 30 strati per uno spessore complessivo di circa 12 metri. Lo spessore ingente e le numerose stratificazioni fanno supporre un lasso cronologico molto ampio, almeno un millennio, ma forse anche più, durante il quale avvenne un processo lento e costante di evoluzione, senza brusche rotture culturali che possano far supporre invasioni o conquiste da parte di altri popoli; le generali distruzioni che segnano le soglie fra Troia I, II, III, IV e V sono dovute a catastrofi: incendi, terremoti e simili.


Burhanuddin Herrmann. Tutti voi indossate abiti e scarpe di marca come se foste i rappresentanti di queste compagnie. Questa è la vostra forma, la vostra religione. Avete uno stile di vita inconsapevole, creato dalla tv, dalla pubblicità. Pensate di essere liberi e in grado di decidere liberamente ma siete gli esseri più manipolati del mondo. La scelta del vostro vestito è la scelta di uno schiavo. Quello che compare sulle riviste è lo standard della moda dell'anno, lo seguite e siete così manipolati che arrivate perfino al punto di dire che vi vestite così perchè vi piace. Siete forzati dai vostri desideri, dalle vostre immagini. E la pubblicità funziona con desideri e immagini, è per questo che avete tutti lo stesso aspetto.

"Tutti voi indossate abiti e scarpe di marca come se foste i rappresentanti di queste compagnie. Questa è la vostra forma, la vostra religione. Avete uno stile di vita inconsapevole, creato dalla tv, dalla pubblicità. Pensate di essere liberi e in grado di decidere liberamente ma siete gli esseri più manipolati del mondo. La scelta del vostro vestito è la scelta di uno schiavo. Quello che compare sulle riviste è lo standard della moda dell'anno, lo seguite e siete così manipolati che arrivate perfino al punto di dire che vi vestite così perchè vi piace. Siete forzati dai vostri desideri, dalle vostre immagini. E la pubblicità funziona con desideri e immagini, è per questo che avete tutti lo stesso aspetto."
Burhanuddin Herrmann


"Le forze esterne ti ingannano, ti manipolano. Ciò in cui credi è un prodotto elaborato ad arte. In parte l'hai creato tu, in parte i tuoi genitori e la società in cui vivi. La sola cosa che ci serve è l'autenticità: dobbiamo vedere le cose per quello che sono. Perchè è così difficile dire la verità, vivere la verità? Per le conseguenze. Se inizi ad essere vero, a vivere nella verità, tutti i tuoi giochetti che hai fatto finora devono finire. La mente può adattarsi ai compromessi, il cuore no. Può darsi che tu viva rettamente, però non vivi nella verità. Se trovi il coraggio di seguire ciò che è vero per te, forse perdi il tuo lavoro, forse resti da solo o finisci sotto un ponte. Ma una cosa ti succede di sicuro: raggiungi la pace del cuore. La verità è oltre la concezione umana del bene e del male; è il nome più alto del divino: da lì ogni cosa si manifesta."
Burhanuddin Herrmann





Charles Whitfield. E' attraverso il dolore e non ottenendo ciò che mi aspetto, che imparerò di più sui miei attaccamenti e su me stesso, e in tal modo potrò crescere.



E' attraverso il dolore e non ottenendo ciò che mi aspetto, che imparerò di più sui miei attaccamenti e su me stesso, e in tal modo potrò crescere.
Charles Whitfield



mercoledì 28 maggio 2014

Goedel. Viviamo in un mondo in cui il 99 per cento delle cose belle vengono distrutte quando sono in boccio.... Sono all'opera forze dirette a soffocare il bene

"Non è realistico pensare che il mondo consista di una serie di attimi indefinibili che, in rapida successione, appaiono e svaniscono dall'esistenza. E' più realistico pensare che il passato ed il futuro esistono permanentemente".
Kurt Goedel, A Remark about the relationship between Relativity Theory and Idealistic Philosophy



"Viviamo in un mondo in cui il 99 per cento delle cose belle vengono distrutte quando sono in boccio.... Sono all'opera forze dirette a soffocare il bene.".
Lettera di Kurt Goedel alla madre Marianne in "I demoni di Goedel" di Pierre Cassou-Noguès


La mente umana è determinata da un programma che essa eseguirebbe senza conoscerlo?
...pensare secondo regole predefinite significa pensare come una macchina. Siamo allora macchine? 
....o possiamo, in qualche modo, far deviare la mente fino a sganciarla da questi programmi? 
Possiamo immaginare un processo di pensiero che nessuna macchina di Turing sarebbe in grado di riprodurre? Ossia formulare altre regole, un modo di ragionare che sarebbe inaudito (come nessuno ne ha ancora immaginato uno), oppure provare che la mente umana è in grado di pensare senza eseguire alcuna regola meccanica e, in questo senso, liberamente? 
Pierre Cassou, "I demoni di Goedel"



Caterina Riario Sforza. "Femina, quasi virago, crudelissima e di grande animo", la figlia nata dall'unione illegittima di Galeazzo Maria Sforza e Lucrezia Landriani lascia di sé un ricordo importante: si sposa tre volte, combatte la famiglia forlivese degli Orsi e difende coraggiosamente i suoi domini dalla minaccia veneziana. Bella, colta ed energica si occupa a lungo di erboristeria e medicina e scrive il libro "Experimenti della excellentissima signora Caterina da Forlì".

28 maggio 1509. A Firenze muore Caterina Riario Sforza.

"Femina, quasi virago, crudelissima e di grande animo", la figlia nata dall'unione illegittima di Galeazzo Maria Sforza e Lucrezia Landriani lascia di sé un ricordo importante: si sposa tre volte, combatte la famiglia forlivese degli Orsi e difende coraggiosamente i suoi domini dalla minaccia veneziana. Bella, colta ed energica si occupa a lungo di erboristeria e medicina e scrive il libro "Experimenti della excellentissima signora Caterina da Forlì". 



mamma di Giovanni delle Bande Nere, nonna di Cosimo I de Medici, artefice della Galleria degli Uffizi, del corridoio vasariano, Palazzo Pitti e Giardino di Boboli



Fu piu forte degli uomini che la circondavano. Alle donne non si perdonava, e non si perdona, di essere piu forti di un uomo. Fu una grande donna e come tale sbeffeggiata. 
Se un uomo è crudele si dice essere macchiavellico, se lo è una donna è immorale.



Per il suo forte carattere fu chiamata "la leonessa della Romagna". 
Dovette sostenere una dura lotta anche contro papa Alessandro VI Borgia e il figlio Cesare che con la sua straordinaria abilità in campo bellico era riuscito a sconfiggerla e a imprigionarla.



Se fosse stata diversa, gli avrebbero rubato persino i vestiti addosso. 
Donne di questo genere esistono. Sono rare, ma non per questo non sono donne, sono le vere ed uniche donne che ogni uomo vorrebbe avere e che purtroppo non trova. Perché sono loro che scelgono non gli uomini.



Caterina nel ritratto di Lorenzo di Credi)




Temple Grandin. Il cervello autistico. Nel 1947, quando è nata Temple Grandin, l'autismo era stato appena battezzato e descritto da due psichiatri, che lo leggevano da prospettive pressoché opposte: Leo Kanner sembrava considerarlo un'ir­reparabile tragedia, mentre Hans As­per­ger era convinto che potesse essere compensato da qualche aspetto positivo, ad esempio una particolare originalità del pensiero e dell'esperienza, che con il tempo avrebbe magari condotto a conquiste eccezionali. Oggi, a distanza di settan­t'anni, il disturbo dello spettro autistico è più diffuso che mai, e viene diagnosticato a un bambino su ottantotto. Nel frattempo, tuttavia, gli studi si sono spostati dalla mente autistica al cervello autistico, dai reami della psicologia – che in passato colpevolizzava le «madri frigorifero» per carenza d'affettività – a quelli della neurologia e della genetica. Intessendo la sua esperienza personale con l'illustrazio­ne delle ultime ricerche sulle cause e i trattamenti del disturbo, Temple Grandin, coadiuvata da Richard Panek, ci introduce agli avanzamenti del neuroimaging a risonanza magnetica e agli effetti trasformativi indotti dal nuovo ap­proccio terapeutico mirato ai singoli sintomi che sta sostituendo le diagnosi «a taglia unica» di un tempo. Ma soprattutto ci aiuta a percepire l'autismo come modalità esistenziale al­ternativa, con peculiarità sociali e percettive che sono semplicemente diverse da quelle dei neurotipici e che, adeguatamente trattate e valorizzate, possono condurre a una vita del tutto coerente, e persino straordinaria. Il cervello autistico è non solo un aggiornatissimo resoconto di progressive acquisizioni cliniche, ma anche un viaggio all'interno di dinamiche ideative sorprendenti, come il particolare tipo di visualizzazione che consentì a van Gogh di rappresentare nella Notte stellata un «flusso turbolento» – quarant'anni prima che i fisici ne definissero la formula.



Nel 1947, quando è nata Temple Grandin, l'autismo era stato appena battezzato e descritto da due psichiatri, che lo leggevano da prospettive pressoché opposte: Leo Kanner sembrava considerarlo un'ir­reparabile tragedia, mentre Hans As­per­ger era convinto che potesse essere compensato da qualche aspetto positivo, ad esempio una particolare originalità del pensiero e dell'esperienza, che con il tempo avrebbe magari condotto a conquiste eccezionali. Oggi, a distanza di settan­t'anni, il disturbo dello spettro autistico è più diffuso che mai, e viene diagnosticato a un bambino su ottantotto. Nel frattempo, tuttavia, gli studi si sono spostati dalla mente autistica al cervello autistico, dai reami della psicologia – che in passato colpevolizzava le «madri frigorifero» per carenza d'affettività – a quelli della neurologia e della genetica. Intessendo la sua esperienza personale con l'illustrazio­ne delle ultime ricerche sulle cause e i trattamenti del disturbo, Temple Grandin, coadiuvata da Richard Panek, ci introduce agli avanzamenti del neuroimaging a risonanza magnetica e agli effetti trasformativi indotti dal nuovo ap­proccio terapeutico mirato ai singoli sintomi che sta sostituendo le diagnosi «a taglia unica» di un tempo. Ma soprattutto ci aiuta a percepire l'autismo come modalità esistenziale al­ternativa, con peculiarità sociali e percettive che sono semplicemente diverse da quelle dei neurotipici e che, adeguatamente trattate e valorizzate, possono condurre a una vita del tutto coerente, e persino straordinaria. Il cervello autistico è non solo un aggiornatissimo resoconto di progressive acquisizioni cliniche, ma anche un viaggio all'interno di dinamiche ideative sorprendenti, come il particolare tipo di visualizzazione che consentì a van Gogh di rappresentare nella Notte stellata un «flusso turbolento» – quarant'anni prima che i fisici ne definissero la formula.



martedì 27 maggio 2014

lunedì 26 maggio 2014

Federico De Roberto. I Viceré. L'importante è non lasciarsi sopraffare ... Io mi rammento che nel Sessantuno, quando lo zio duca fu eletto la prima volta deputato, mio padre mi disse: "Vedi? Quano c'erano i Viceré, gli Uzeda erano Viceré; ora che abbiamo i deputati, lo zio va in Parlamento." (( ... )) Un tempo la potenza della nostra famiglia veniva dal re; ora viene dal popolo ... La differenza è più di nome che di fatto ...


"L'importante è non lasciarsi sopraffare ... Io mi rammento che nel Sessantuno, quando lo zio duca fu eletto la prima volta deputato, mio padre mi disse: "Vedi? Quano c'erano i Viceré, gli Uzeda erano Viceré; ora che abbiamo i deputati, lo zio va in Parlamento." (( ... )) Un tempo la potenza della nostra famiglia veniva dal re; ora viene dal popolo ... La differenza è più di nome che di fatto ..."
Federico De Roberto (Napoli 1861 - Catania 1926), I Viceré 1894, ed. Einaudi tascabili pag. 696.






Straordinariamente attuale!Come non rammentare Federico De Roberto quando ne "I Vicerè" fa dire a Consalvo Uzeda «La storia è una monotona ripetizione; gli uomini sono stati, sono e sa- ranno sempre gli stessi. Le condizioni esteriori mutano; certo tra la Sicilia di prima del Sessanta, ancora quasi feudale, e questa d’oggi pare ci sia un abisso; ma la differenza è tutta esteriore."





L'ha danneggiato il giudizio di Croce, che ha parlato di De Roberto come di un "ingegno prosaico, curioso di psicologia e di sociologia, ma incapace di poetici abbandoni", come riferisce Sciascia a pag. XXVIII del libro, dove è riportato l'articolo appunto di Sciascia su Repubblica, 14-15 agosto 1977. Sciascia non è affatto d'accordo con Croce.



Croce criticava perfino Dante perché, secondo la sua estetica, la Summa dantesca conteneva "poca poesia ", non mi meraviglio quindi e da lui, ovviamente, dissento. Lo zio Don Blasco è potentemente delineato e ti rimane vivido nella memoria...ma non solo lui.



Anche per me Don Blasco è un personaggio vivissimo, ed è quello che mi piace (per modo di dire) di più. Nel brano citato sopra la foto è Consalvo che parla a quella scorbutica della zia Ferdinanda, anche lei un personaggio che mi è restato impresso un bel po'.






"Gli intellettuali sono i primi a fuggire,
subito dopo i topi,
e molto prima delle puttane."
Vladimir Majakovskij

"La satira politica è diventata obsoleta da quando Henry Kissinger si è aggiudicato il Nobel per la Pace."
Tom Lehrer


“In America, in questo periodo della storia del mondo, una stampa indipendente non esiste.
Lo sapete voi e lo so pure io.
Non c’è nessuno di voi che oserebbe scrivere le proprie vere opinioni, e già sapete anticipatamente che se lo facesse esse non verrebbero mai pubblicate.

Io sono pagato un tanto alla settimana per tenere le mie opinioni oneste fuori dal giornale col quale ho rapporti.
Altri di voi sono pagati in modo simile per cose simili, e chi di voi fosse così pazzo da scrivere opinioni oneste, si ritroverebbe subito per strada a cercarsi un altro lavoro.
Se io permettessi alle mie vere opinioni di apparire su un numero del mio giornale, prima di ventiquattr’ore la mia occupazione sarebbe liquidata.

Il lavoro del giornalista è quello di distruggere la verità, di mentire spudoratamente, di corrompere, di diffamare, di scodinzolare ai piedi della ricchezza, e di vendere il proprio paese e la sua gente per il suo pane quotidiano.
Lo sapete voi e lo so pure io.
E allora, che pazzia è mai questa di brindare a una stampa indipendente?

Noi siamo gli arnesi e i vassalli di uomini ricchi che stanno dietro le quinte. Noi siamo dei burattini, loro tirano i fili e noi balliamo.
I nostri talenti, le nostre possibilità, le nostre vite, sono tutto proprietà di altri.
Noi siamo delle prostitute intellettuali.“
(John Swinton, redattore-capo del NYT - 1880)







Vladimir Majakovskij - in foto



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