lunedì 29 settembre 2014

Schurè. I grandi iniziati. Come nacque Roma? Nacque da una congiura di un’avida oligarchia in nome della forza bruta; con l’oppressione dell’intelletto umano, della religione, della scienza e dell’arte, esercitò un potere politico deificato: in altri termini, dal contrario della verità, nel cui nome un governo trae il proprio diritto unicamente dai superiori concetti di Scienza di Giustizia, di Economia. Tutta la storia romana non è che la conseguenza di quel patto iniquo per cui i padri coscritti dichiararono guerra prima all’Italia e poi a tutto il genere umano. E certo fu molto appropriato il simbolo che essi scelsero! La lupa di bronzo, dal fulvo pelame irto, che protende il suo muso di jena verso il Campidoglio; fedele immagine di quel governo, quel demone che fino all’ultimo sarà padrone dell’anima romana.


Come nacque Roma? Nacque da una congiura di un’avida oligarchia in nome della forza bruta; con l’oppressione dell’intelletto umano, della religione, della scienza e dell’arte, esercitò un potere politico deificato: in altri termini, dal contrario della verità, nel cui nome un governo trae il proprio diritto unicamente dai superiori concetti di Scienza di Giustizia, di Economia. Tutta la storia romana non è che la conseguenza di quel patto iniquo per cui i padri coscritti dichiararono guerra prima all’Italia e poi a tutto il genere umano. E certo fu molto appropriato il simbolo che essi scelsero! La lupa di bronzo, dal fulvo pelame irto, che protende il suo muso di jena verso il Campidoglio; fedele immagine di quel governo, quel demone che fino all’ultimo sarà padrone dell’anima romana.
E. Schurè, I grandi iniziati.




mercoledì 24 settembre 2014

Hokusai. Una gigantesca onda, quasi congelata nell’attimo immediatamente precedente il suo abbattersi su fragili imbarcazioni che sfidano i marosi; quasi artiglio nello spumeggiare sospeso che inquadra nel cavo dell’onda stessa la sagoma eterna del monte Fuji, testimone immoto del dramma che sta per consumarsi nella vita del tempo che fugge, il “mondo fluttuante” dell’ukiyo-e.



Una gigantesca onda, quasi congelata nell’attimo immediatamente precedente il suo abbattersi su fragili imbarcazioni che sfidano i marosi; quasi artiglio nello spumeggiare sospeso che inquadra nel cavo dell’onda stessa la sagoma eterna del monte Fuji, testimone immoto del dramma che sta per consumarsi nella vita del tempo che fugge, il “mondo fluttuante” dell’ukiyo-e.
Questa stampa, che è diventata un’icona del Giappone in Occidente, scaturì dal genio artistico di Hokusai (1760-1849) agli inizi degli anni ’30 del 1800 e fu stampata e ristampata.

Il MAO ne possiede un esemplare pregevolissimo non della prima tiratura e lo presenta al pubblico periodicamente per evitare che un’esposizione prolungata alla luce lo danneggi.

In occasione della Settimana della Cultura, la galleria delle stampe al secondo piano del Giappone ripropone ai visitatori anche una selezione di xilografie dell’ukiyo-e con soggetti tratti dal teatro kabuki. Le opere sono della seconda metà dell’800, e l’autore più rappresentato è Utagawa Kunisada (1786-1864) nella fase di ormai affermato caposcuola della scuola Utagawa.   La produzione artistica di Kunisada è sterminata, ed egli è giustamente considerato l’autore del XIX secolo più influente nell’ambito delleyakusha-e, le stampe che ritraevano attori famosi. Nell’allestimento il suo stile è messo a confronto con quello di alcuni epigoni e di artisti originali come Tsukioka Yoshitoshi (1839-1892). 
Che cosa accomuna dunque la “Grande Onda” di Hokusai agli attori del kabuki ritratti da Kunisada? Una risposta è contenuta nell’idea stessa di “sospensione”, di energia latente che entrambe queste rappresentazioni richiamano. Buona parte degli artisti del kabuki vengono ritratti nelle scene clou del dramma, quando si immobilizzano in pose cariche di tensione chiamate in giapponese “mie”. E, come guardando la grande onda sappiamo istintivamente che un attimo dopo si abbatterà in tutta la sua potenza, così l’entusiasta di teatro sa che nel momento successivo l’attore ripartirà nell’azione, calandosi nuovamente in quel “mondo fluttuante” fatto di movimento nel quale viviamo, e che aveva abbandonato per quell’impercettibile istante di eternità che l’arte soltanto può immortalare.

Katsushika Hokusai, La Grande Onda



martedì 23 settembre 2014

Sisaia. Gli speleologi iniziarono a cercare un nome per lo scheletro. Il corredo funebre faceva pensare a una donna, per questo e per la vetustà evidente delle ossa, pensarono a una nonna, anzi una bisnonna, ed ecco la lingua nuorese venne loro in aiuto e per questo fu coniato il nome Bisaia cioè bis nonna. Infatti, in nuorese nonna si dice Iaia e bis nonna Bisaia. Le traduzioni degli antropologi che in seguito studiarono lo scheletro, fecero il resto. Bisaia diventò facilmente Sisaia con riferimenti al latino di Sexies Avia, antica progenitrice.





      Questa di "Sisaia” è la storia vera...

Questa di "Sisaia” è la storia vera...

      Prendo in prestito le parole di una vecchia e cara canzone di Fabrizio De André, perché desidero raccontare una storia che è quasi una favola. Una storia che risale a quasi quattromila anni fa e racconta di magia, di un'antica e colta civiltà, precedente quella nuragica. La storia dolorosa di una piccola e giovane donna, una guaritriceforse, una sacerdotessa, non si sa con certezza. Ma ecco la storia che si desume dalla sua semplice ma augusta sepoltura.

Ecco la storia di "Sisaia".
Tutto ebbe inizio una domenica mattina della primavera del 1961. Un gruppetto di appartenenti al Gruppo Grotte Nuorese, durante una passeggiata nella valle di Lanaittu, in località "Borrosca",sul sentiero del canyon di Doloverre, s’imbatté in un piccolo anfratto, quasi interamente coperto dalla vegetazione, ma non abbastanza da passare inosservato.
Lasciati gli zaini all'ingresso, prese cime e poca altra attrezzatura, s’incamminarono dentro la cavità. Pian piano gli occhi iniziarono a prendere confidenza con il buio e la luce fioca delle torce. Di primo acchito, la sensazione che gli speleologi provarono, fu quella di trovarsi in una grotta importante. Già la immaginavano connessa al sistema idrocarsico della sorgente di San Pantaleo, ma questa eccitazione durò poco: la grotta si rivelò certamente più piccola, giusto qualche decina di metri, e, esplorando il suo perimetro, questi ardimentosi, non trovarono alcun segno di proseguimento.
La grotta aveva due ingressi, posti a differenti altezze. Entrambi avevano uno sviluppo a budello che terminava, convergendo, dopo pochi metri, in uno slargo. Il tutto della dimensione di una domo de Janas.
Una grotta ricca di concrezioni iridescenti, ma poco più che un anfratto, dunque. La delusione fu grande. Mentre alcuni si avviavano all'uscita, un appartenente al gruppo, più determinato degli altri a trovare qualcosa, notò delle pietre poste, con apparente simmetria, proprio al centro della piccola sala ipogeica. Poteva essere un focolare recente, magari messo su da un pastore, sorpreso dal cattivo tempo. Ma avvicinandosi per verificare se ci fossero resti di pasto, o qualsiasi altra traccia che potesse far datare la cosa, questo esploratore si accorse che non si trattava di un focolare, ma di una tomba. Erano ossa coperte dalla polvere del tempo, non vecchi carboni, quelli che vedeva.
*" Astringhie pitzinnos... inoke bi sun' ossos de cristianu" (Avvicinatevi ragazzi, qui ci sono ossa umane) gridò.



Si trattava di una deposizione che solo più tardi si scoprì, essere davvero importante.
Al momento "sos pitzinnos" potevano vedere delle ossa molto vecchie, disposte con cura su un povero letto di semplici frasche; un corredo funerario scarso: dei tegamini di terracotta, dei punteruoli in osso e una piccola macina di pietra.
Gli speleologi iniziarono a cercare un nome per lo scheletro. Il corredo funebre faceva pensare a una donna, per questo e per la vetustà evidente delle ossa, pensarono a una nonna, anzi una bisnonna, ed ecco la lingua nuorese venne loro in aiuto e per questo fu coniato il nome Bisaia cioè bis nonna. Infatti, in nuorese nonna si dice Iaia e bis nonna Bisaia. Le traduzioni degli antropologi che in seguito studiarono lo scheletro, fecero il resto. Bisaia diventò facilmente Sisaia con riferimenti al latino di Sexies Avia, antica progenitrice.
Lo scheletro nei giorni seguenti, fu deposto in una teca, proprio così come era stato trovato, assieme al suo corredo, e poi fu chiamato a studiare le vetuste ossa, il prof. Germaná, eminente scienziato, paleoantropologo e medico legale e docente universitario.  Per la parte archeologica, lo studio fu assegnato alla prof.ssa Maria Luisa Ferrarese Ceruti, la più grande esperta di ceramiche del bacino del Mediterraneo, oggi scomparsa.
La tomba si rivelò della cultura "Bonnannaro" una cultura immediatamente precedente la cultura nuragica. I Bonnannaro erano genti dure, essenziali, dedite soprattutto alla guerra. Le loro ceramiche non erano decorate. Per questa ragione, la tomba della donna trovata nella grotta, era sempre più strana e inusuale. Tipiche di questa cultura erano le inumazioni collettive, per questo motivo, la deposizione singola di Sisaia, ha dell’eccezionale e suggerisce che la donna dovesse avere un ruolo molto importante in seno al suo clan .
Ma quello che vi era di più strano e inusuale, era proprio lo scheletro.
La cultura detta Bonnannaro è testimoniata sino al 1900 a.C.. E questa è pressappoco l'età di Sisaia.
Sisaia era una piccola donna, non più alta di un metro e cinquanta. Per i nostri canoni, non doveva essere molto bella: aveva una testa grande rispetto al torace, peraltro incurvato verso l'interno, fatto questo che doveva rendere la sua voce cavernosa e sgradevole. Uno scheletro minuto ma robusto, che presentava segni di fratture rinsaldate all'avambraccio sinistro, che oggi definiremo fratture da difesa, come se un corpo contundente le avesse rotto l'ulna, mentre lei cercava di difendersi. Una frattura alla spalla, rinsaldata ma che le doveva avere lasciato grosse difficoltà di movimento. Aveva evidenti ferite al bacino, lasciate da un tumore osseo che doveva darle dolori terribili, da seduta, come da distesa e in piedi.
Alle gambe i segni delle malformazioni dovute al rachitismo.



Ma quello che più di tutto l'ha resa famosa, è il cranio. Infatti, nel cranio ci sono le prove evidenti di una trapanazione con riposizione della rondella ossea. Trapanazione cui Sisaia è sopravvissuta, infatti, le ossa sono perfettamente rinsaldate.
Le trapanazioni craniche pare fossero frequenti nelle genti del neolitico, sia per scopi magici sia curativi. Ma pochissime mostrano segni di sopravvivenza. Questo è il motivo per cui Sisaia è così famosa. Inoltre, secondo il Prof. Franco Germaná, questo intervento è stato fatto di certo per scopi terapeutici. Lo dimostrerebbero dei solchi lasciati dagli strumenti, (forse un intervento di pulitura?) sulla rondella ossea, prima asportata e poi riposizionata in situ. Il cranio di Sisaia mostra evidenti spugnosità a livello frontale, cosa che ha fatto ritenere la povera donna affetta anche da una sinusite devastante. Si possono solo immaginare i mal di testa di cui doveva soffrire.
Ci troviamo dinanzi ad un mistero della storia. Parliamo di popolazioni precedenti il periodo nuragico. Dei nostri antichi predecessori, ci hanno raccontato che furono un popolo bellicoso, capaci di guardare in cagnesco il vicino di casa e di costruire delle torri (anche se torri pazzesche che sfidano, non solo il tempo ma anche le leggi di gravità). Ma capaci solo di questo? Per quanti di noi la nostra terra è sempre stata solo una terra di conquista, abitata da genti divise e ignoranti? Ma allora come si coniuga la precisione di questo intervento chirurgico, con l'unica curiosa attitudine di litigare con il vicino di nuraghe come passatempo?





Il dubbio di qualcosa di non detto comincia a serpeggiare con sempre maggiore frequenza.
Dubbio che è anche avvalorato dalla presenza di altri crani con tracce di trapanazione. Al museo di Antropologia dell’Università di Cagliari, fa bella mostra di se, un cranio che presenta ben due trapanazioni: il tipo d’intervento è differente, in questo, infatti, non c’è stata riposizione della rondella ossea estratta, anche se la prima trapanazione mostra segni di ricrescita ossea, quindi di sopravvivenza. La seconda, invece, deve essere stata letale per quell’essere umano.
E se i "detrattori esterofili", così io chiamo chi ridicolizza qualunque teoria che veda gli antichi sardi diversi da pastori ignoranti, avessero sempre sbagliato?
Lascio alle parole del prof. Germaná la descrizione dell'intervento, affinché sia chiaro il tipo di lavoro che è stato fatto sulla testa della povera Sisaia:
**<<L'analisi delle lesioni craniche connesse con l'intervento di trapanazione in vivo, la ricostruzione dell'atto operatorio in uno o più tempi [...] rende credibile l'ipotesi che [nella Sardegna dell'epoca] fossero presenti veri e propri chirurghi ricchi di esperienza e forse di metodo. Questi specialisti sapevano che non bisogna ledere la continuità della "dura madre" per non causare encefaliti certamente mortali; conoscevano in quali punti del cranio praticare la trapanazione e, quando durante l'intervento non potevano evitare vasi importanti (come l'arteria meningea media) ci lavoravano intorno senza interromperne la continuità [...] da un provetto chirurgo [...] dovete essere operata la donna di Sisaia>>.
Di certo Sisaia doveva essere una donna importante nella sua piccola comunità. Una sciamana, una sacerdotessa, una guaritrice, non sappiamo. Le teorie che vedono in Sisaia un personaggio importante per la vita del suo clan, sono avvalorate da quello che di certo sappiamo di lei: con una situazione clinica come la sua aveva continuo bisogno di assistenza.
La deposizione in una tomba singola, rivela un riguardo quasi regale per un popolo che inumava i suoi morti in tombe collettive. Infatti, questa deposizione ci racconta di rispetto, amore e gratitudine.
Sepolta a guardia della valle che fu teatro della sua vita. Come se il suo popolo la volesse ancora custode di quella terra così aspra.
E ora, vederla nella teca che il museo Archeologico di Nuoro le ha riservato, lontana dalla sua grotta, dalla sua valle, dai suoi boschi, mette tristezza, sa di solitudine e di cattività. Come sarebbe bello che Sisaia tornasse a custodire la sua valle, se tornasse in quel luogo dove era stata in quiete per 4000 anni!

NOTE:
* tratto da "Domina Lunae" - La grotta - sepoltura "Sisaia”.
** tratto da Giacobbe Manca, "La vita di Bisaia/Sisaia:4500 anni fa il primo autotrapianto in Sardegna.


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lunedì 22 settembre 2014

Tom Lehrer. La satira politica è diventata obsoleta da quando Henry Kissinger si è aggiudicato il Nobel per la Pace

"Gli intellettuali sono i primi a fuggire,
subito dopo i topi,
e molto prima delle puttane."
Vladimir Majakovskij

"La satira politica è diventata obsoleta da quando Henry Kissinger si è aggiudicato il Nobel per la Pace."
Tom Lehrer

“In America, in questo periodo della storia del mondo, una stampa indipendente non esiste.
Lo sapete voi e lo so pure io.
Non c’è nessuno di voi che oserebbe scrivere le proprie vere opinioni, e già sapete anticipatamente che se lo facesse esse non verrebbero mai pubblicate.

Io sono pagato un tanto alla settimana per tenere le mie opinioni oneste fuori dal giornale col quale ho rapporti.
Altri di voi sono pagati in modo simile per cose simili, e chi di voi fosse così pazzo da scrivere opinioni oneste, si ritroverebbe subito per strada a cercarsi un altro lavoro.
Se io permettessi alle mie vere opinioni di apparire su un numero del mio giornale, prima di ventiquattr’ore la mia occupazione sarebbe liquidata.

Il lavoro del giornalista è quello di distruggere la verità, di mentire spudoratamente, di corrompere, di diffamare, di scodinzolare ai piedi della ricchezza, e di vendere il proprio paese e la sua gente per il suo pane quotidiano.
Lo sapete voi e lo so pure io.
E allora, che pazzia è mai questa di brindare a una stampa indipendente?

Noi siamo gli arnesi e i vassalli di uomini ricchi che stanno dietro le quinte. Noi siamo dei burattini, loro tirano i fili e noi balliamo.
I nostri talenti, le nostre possibilità, le nostre vite, sono tutto proprietà di altri.
Noi siamo delle prostitute intellettuali.“
John Swinton, redattore-capo del NYT - 1880




Straordinariamente attuale!Come non rammentare Federico De Roberto quando ne "I Vicerè" fa dire a Consalvo Uzeda «La storia è una monotona ripetizione; gli uomini sono stati, sono e sa- ranno sempre gli stessi. Le condizioni esteriori mutano; certo tra la Sicilia di prima del Sessanta, ancora quasi feudale, e questa d’oggi pare ci sia un abisso; ma la differenza è tutta esteriore."



Steven James Joyce. L'ascidia è un invertebrato marino che, poco tempo dopo essere venuto al mondo, cerca un punto al quale ancorarsi per sempre. Quando lo trova e vi si stabilisce, divora il suo stesso cervello. Molti esseri umani sono piú simili all'ascidia di quanto possiamo sospettare di primo acchito. Come l'ascidia, vogliamo soltanto metterci comodi.



UOMINI MOLLUSCO
"L'ascidia è un invertebrato marino che, poco tempo dopo essere venuto al mondo, cerca un punto al quale ancorarsi per sempre. Quando lo trova e vi si stabilisce, divora il suo stesso cervello.
Molti esseri umani sono piú simili all'ascidia di quanto possiamo sospettare di primo acchito. Come l'ascidia, vogliamo soltanto metterci comodi".
Steven James Joyce


Ascidiacea Nielsen, 1995 è una classe del subphylum dei Tunicati. Sono animali marini, sessili, microfagi filtratori, dal corpo a forma di otre. [...]
La larva è dotata di una notocorda (la struttura da cui deriva la colonna vertebrale dei vertebrati). La presenza di questo carattere fa classificare le ascidie nel phylum dei Cordati, assieme ai vertebrati. Le larve subiscono una metamorfosi quando trovano un luogo adatto per l'insediamento. Durante la metamorfosi la coda, insieme alla notocorda e al tubo neurale, viene riassorbita. [...]

A. mentula è ermafrodita: caratteristica molto comune nei Tunicati. La riproduzione avviene tramite la deposizione di uova. Le larve hanno un aspetto molto simile a quello dei girini e sono in grado di nuotare. La notocorda è situata all'interno della "coda" e, dopo qualche giorno, quest'ultima verrà utilizzata per attaccarsi al fondale. Inizierà, così, la metamorfosi, fino a raggiungere l'aspetto dell'esemplare adulto. Due sifoni prenderanno il posto della coda e, di conseguenza, rimpiazzeranno la notocorda.

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.



http://it.wikipedia.org/wiki/Ascidiacea




domenica 21 settembre 2014

Enrico Maria Secci. Quando qualcuno ti dice "non ti voglio parlare", dice, in realtà "tu non mi capisci, da tanto tempo non mi sento compreso da te". Nessuna comunicazione può interrompersi realmente tra due che sono stati amici o amanti, mai. Solo, i sentimenti continueranno a fluire oltre il silenzio e il distacco per tutta la vita, dove l'incomprensione a volte é un muro d'orgoglio che dovremmo saper abbattere insieme all'altro, altre volte é un argine, una diga necessaria.



Quando qualcuno ti dice "non ti voglio parlare", dice, in realtà "tu non mi capisci, da tanto tempo non mi sento compreso da te".
Nessuna comunicazione può interrompersi realmente tra due che sono stati amici o amanti, mai. 
Solo, i sentimenti continueranno a fluire oltre il silenzio e il distacco per tutta la vita, dove l'incomprensione a volte é un muro d'orgoglio che dovremmo saper abbattere insieme all'altro, altre volte é un argine, una diga necessaria.
Enrico Maria Secci




Un diga necessaria quando nonostante i sentimenti è necessario salvarsi da un rapporto che non funziona, ammala...


sabato 20 settembre 2014

Marco Vannini. La religione della ragione. In tutta la filosofia greca non c'è mai il concetto di creazione, che é quello che separa dio dal mondo, originando un dualismo insormontabile, ma non c'é mai neppure ateismo, ragione e distacco vanno sempre insieme, anzi sono la stessa cosa.

In tutta la filosofia greca non c'è mai il concetto di creazione, che é quello che separa dio dal mondo, originando un dualismo insormontabile, ma non c'é mai neppure ateismo, ragione e distacco vanno sempre insieme, anzi sono la stessa cosa.
Marco Vannini, "La religione della ragione"

Le osterie da Niccolò V a Trilussa ( di Claudio Rendina) "Una volta era il tempo delle osterie, originariamente con la lettera "h" nell'insegna, e le frequentavano i popolani per passare il tempo in bevute di vino, scandite da morra, giochi di carte e passatelle, a chi ne scolava di più, immancabilmente finite a coltellate. Dalle 1.022 del 1450, sotto Niccolò V, quando si celebrò l'Anno Santo, calarono a 712 nel 1854, fino ad essere sostituite da trattorie o ristoranti, e oggi più caratteristicamente dalle pizzerie. Emblematiche di certi locali erano le "misure" del vino, ora una rarità, e solo mantenute in qualche pizzeria. A cominciare dalla più piccola: 1/10 di litro detto "sospiro" o sottovoce (così chiamato perché o si sospirava nel richiederlo - in quanto molto piccolo - o ci si vergognava di non poter disporre di maggior denaro); 1/5 di litro, chirichetto; 1/4 di litro, quartino o mezza fojetta (un tempo detta anche baggiarola); 1/2 litro, foglietta o fojetta; 1 litro, tubo o tubbo; 2 litri, er barzilai (dall'onorevole Salvatore Barzilai che, nelle campagne elettorali, offriva il vino in simili recipienti). Ma molte osterie sono rimaste famose per personaggi storici, anche se scomparse. A metà dell'Ottocento, nei pressi di ponte Milvio, sulla via Flaminia una funzionava da stazione di sosta delle carrozze; qui viaggiatori e cocchiere per consuetudine bevevano il cosiddetto "bicchiere della staffa". Fu chiamata Melafumo perché un giorno si trovò a passare a queste parti Pio IX, di fronte al quale l'oste non si scompose minimamente, restando a fumare la sua pipa seduto sull'uscio. Stupito da un simile atteggiamento, uno del seguito l'apostrofò risentito e, facendogli notare la presenza del papa, gli chiese: «Che fai?», «Io?», rispose, «Me la fumo!». Lungo la via Salaria c'era la Filomarino: qui, il 18 settembre del 1870, il generale Raffaele Cadorna, comandante della spedizione di Roma, piantò il quartier generale. Una parete era completamente coperta di firme dei clienti e dei molti patrioti che passavano da quelle parti, e a caratteri cubitali si leggeva: «Qui fu il primo arrivo d'Italia». Garibaldi lasciò l'autografo e il suo apprezzamento alla cucina dell'oste sottoscrivendo la frase: «Filomarino, i tuoi maccheroni sono i migliori di tutta Europa, Giuseppe Garibaldi». E l'eroe dei due mondi ha legato il suo nome anche a Scarpone, al Gianicolo, con giardino ancora esistente come ristorante: qui infatti sembra che il generale, impegnato a Roma nella lotta contro i francesi nel 1849, venisse ogni tanto a riposarsi, legando il cavallo ad un eucaliptus e sedendosi su un grosso masso all'ombra delle fronde. Ma l'osteria è famosa anche perché cantata da musicisti e poeti: Cesare Pascucci la incluse nella scenografia dell'operetta 'Na vignata da Scarpone, ripresa poi da Ettore Petrolini, che la rappresentò con il nome L'ottobrata; Trilussa v'immaginò il pranzo conciliatore tra romani e sabini nel poemetto Il ratto delle Sabine. Numerose le osterie frequentate dagli artisti; così alla Dogana, in via della Dogana Vecchia, andava l'architetto Antonio da Sangallo il Giovane, che mandava il conto all'amministrazione della chiesa di San Luigi dei Francesi. Il Moro alla Maddalena era frequentata da Caravaggio, con tanto di liti e coltellate, la Gensola a Trastevere da Bertel Thorvaldsen e dai pittori danesi, come si può vedere nel quadro di Ditlev Blunck. Ancora esistente, ma divenuto ristorante, Romolo, «nel giardino di Raffaello e della Fornarina» a via di Porta Settimiana 8, dove appunto l'artista si innamorò. Poi vennero le pizzerie e, tra le tante, è storica a largo dei Lombardi la Capricciosa, che prende nome dal tipo di pizza così chiamata e qui inventata nel 1937; aveva il tavolo fisso Giorgio de Chirico con i suoi Cavalli. Ora ci s'incontrano i politici, ma il locale vantava ancora fino alla sua morte un artista come assiduo frequentatore: Edolo Masci con le sue Conchiglie."






TEMPO DI VENDEMMIA E DI VINO: dal barzilai al sospiro.

Le osterie da Niccolò V a Trilussa ( di Claudio Rendina)

"Una volta era il tempo delle osterie, originariamente con la lettera "h" nell'insegna, e le frequentavano i popolani per passare il tempo in bevute di vino, scandite da morra, giochi di carte e passatelle, a chi ne scolava di più, immancabilmente finite a coltellate. Dalle 1.022 del 1450, sotto Niccolò V, quando si celebrò l'Anno Santo, calarono a 712 nel 1854, fino ad essere sostituite da trattorie o ristoranti, e oggi più caratteristicamente dalle pizzerie. Emblematiche di certi locali erano le "misure" del vino, ora una rarità, e solo mantenute in qualche pizzeria. A cominciare dalla più piccola: 1/10 di litro detto "sospiro" o sottovoce (così chiamato perché o si sospirava nel richiederlo - in quanto molto piccolo - o ci si vergognava di non poter disporre di maggior denaro); 1/5 di litro, chirichetto; 1/4 di litro, quartino o mezza fojetta (un tempo detta anche baggiarola); 1/2 litro, foglietta o fojetta; 1 litro, tubo o tubbo; 2 litri, er barzilai (dall'onorevole Salvatore Barzilai che, nelle campagne elettorali, offriva il vino in simili recipienti). Ma molte osterie sono rimaste famose per personaggi storici, anche se scomparse. A metà dell'Ottocento, nei pressi di ponte Milvio, sulla via Flaminia una funzionava da stazione di sosta delle carrozze; qui viaggiatori e cocchiere per consuetudine bevevano il cosiddetto "bicchiere della staffa". Fu chiamata Melafumo perché un giorno si trovò a passare a queste parti Pio IX, di fronte al quale l'oste non si scompose minimamente, restando a fumare la sua pipa seduto sull'uscio. Stupito da un simile atteggiamento, uno del seguito l'apostrofò risentito e, facendogli notare la presenza del papa, gli chiese: «Che fai?», «Io?», rispose, «Me la fumo!». Lungo la via Salaria c'era la Filomarino: qui, il 18 settembre del 1870, il generale Raffaele Cadorna, comandante della spedizione di Roma, piantò il quartier generale. Una parete era completamente coperta di firme dei clienti e dei molti patrioti che passavano da quelle parti, e a caratteri cubitali si leggeva: «Qui fu il primo arrivo d'Italia». Garibaldi lasciò l'autografo e il suo apprezzamento alla cucina dell'oste sottoscrivendo la frase: «Filomarino, i tuoi maccheroni sono i migliori di tutta Europa, Giuseppe Garibaldi». E l'eroe dei due mondi ha legato il suo nome anche a Scarpone, al Gianicolo, con giardino ancora esistente come ristorante: qui infatti sembra che il generale, impegnato a Roma nella lotta contro i francesi nel 1849, venisse ogni tanto a riposarsi, legando il cavallo ad un eucaliptus e sedendosi su un grosso masso all'ombra delle fronde. Ma l'osteria è famosa anche perché cantata da musicisti e poeti: Cesare Pascucci la incluse nella scenografia dell'operetta 'Na vignata da Scarpone, ripresa poi da Ettore Petrolini, che la rappresentò con il nome L'ottobrata; Trilussa v'immaginò il pranzo conciliatore tra romani e sabini nel poemetto Il ratto delle Sabine. Numerose le osterie frequentate dagli artisti; così alla Dogana, in via della Dogana Vecchia, andava l'architetto Antonio da Sangallo il Giovane, che mandava il conto all'amministrazione della chiesa di San Luigi dei Francesi. Il Moro alla Maddalena era frequentata da Caravaggio, con tanto di liti e coltellate, la Gensola a Trastevere da Bertel Thorvaldsen e dai pittori danesi, come si può vedere nel quadro di Ditlev Blunck. Ancora esistente, ma divenuto ristorante, Romolo, «nel giardino di Raffaello e della Fornarina» a via di Porta Settimiana 8, dove appunto l'artista si innamorò. Poi vennero le pizzerie e, tra le tante, è storica a largo dei Lombardi la Capricciosa, che prende nome dal tipo di pizza così chiamata e qui inventata nel 1937; aveva il tavolo fisso Giorgio de Chirico con i suoi Cavalli. Ora ci s'incontrano i politici, ma il locale vantava ancora fino alla sua morte un artista come assiduo frequentatore: Edolo Masci con le sue Conchiglie."









Gaetano Filangieri, "La scienza della legislazione", libro I, 1780. Incipit dell'Introduzione. "Quali sono i soli oggetti che hanno fino a questi ultimi tempi occupato i sovrani di Europa? Un arsenale formidabile, un’artiglieria numerosa, una truppa ben agguerrita. Tutti i calcoli, che si sono esaminati alla presenza de' principi, non sono diretti che alla soluzione di un solo problema: trovar la maniera di uccidere più uomini nel minor tempo possibile".


"Quali sono i soli oggetti che hanno fino a questi ultimi tempi occupato i sovrani di Europa? Un arsenale formidabile, un’artiglieria numerosa, una truppa ben agguerrita. Tutti i calcoli, che si sono esaminati alla presenza de' principi, non sono diretti che alla soluzione di un solo problema: trovar la maniera di uccidere più uomini nel minor tempo possibile".
Gaetano Filangieri, "La scienza della legislazione", libro I, 1780. Incipit dell'Introduzione.






Il meccanismo di Anticitera, nonostante non trovi eguali fino alla realizzazione dei primi calendari meccanici successivi al 1050, rimane comunque perfettamente integrato nelle conoscenze del periodo tardo ellenistico: vi sono rappresentati solo i cinque pianeti visibili a occhio nudo e il materiale usato è un metallo facilmente lavorabile. Ad Alessandria d'Egitto infatti, durante l'ellenismo, operarono molti studiosi che si dedicarono anche ad aspetti tecnologici realizzando meccanismi e automi come la macchina a vapore di Erone. Inoltre, Cicerone cita la presenza a Siracusa di una macchina circolare costruita da Archimede e ascrivibile quindi alla fine del III secolo a.C., con la quale si rappresentavano i movimenti del Sole, dei pianeti e della Luna, nonché delle sue fasi e delle eclissi. Sulla base della sua ricerca, Price concluse che, contrariamente a quanto si era creduto in precedenza, nella Grecia del II secolo a.C. esisteva effettivamente una tradizione di altissima tecnologia.

Archeologi sommozzatori scenderanno a 150 metri di profondità per scoprire il segreto di antikythera, il più antico computer mai ritrovato. Che guarda caso era italiano. Siciliano, per la precisione.




computer letteralmente andrebbe tradotto come computatore, sinonimo di calcolatore, che sia meccano o elettrnico è comunque un computer, ovviamente non è personal (la nascita dei personal computer la dobbiamo nientemeno che a steve jobs).  Era davvero un macchinario in grado di svolgere dei calcoli automatici. Ma: senza possibilità di programmazione, senza informazione digitale e senza elettricità, appare ovvio.






Il meccanismo di Anticitera, nonostante non trovi eguali fino alla realizzazione dei primi calendari meccanici successivi al 1050, rimane comunque perfettamente integrato nelle conoscenze del periodo tardo ellenistico: vi sono rappresentati solo i cinque pianeti visibili a occhio nudo e il materiale usato è un metallo facilmente lavorabile. Ad Alessandria d'Egitto infatti, durante l'ellenismo, operarono molti studiosi che si dedicarono anche ad aspetti tecnologici realizzando meccanismi e automi come la macchina a vapore di Erone. Inoltre, Cicerone cita la presenza a Siracusa di una macchina circolare costruita da Archimede e ascrivibile quindi alla fine del III secolo a.C., con la quale si rappresentavano i movimenti del Sole, dei pianeti e della Luna, nonché delle sue fasi e delle eclissi. Sulla base della sua ricerca, Price concluse che, contrariamente a quanto si era creduto in precedenza, nella Grecia del II secolo a.C. esisteva effettivamente una tradizione di altissima tecnologia
Wikipedia.



A più di un secolo di distanza dal primo ritrovamento gli archeologi tornano nel Mar Egeo, nel luogo dove attorno al 60 a.C. affondò la nave romana che trasportava antikythera, il più antico “computer” mai scoperto.

Obiettivo della missione è quello di scoprire ulteriori dettagli sulle origini di questa macchina e su come divenne parte del carico di quello sforntunato viaggio.

COMPUTER... DI BRONZO
Secondo i ricercatori il meccanismo di antikytera è un complicato calcolatore astronomico di fabbricazione greca utilizzato per determinare la posizione delle stelle e dei pianeti. Gli esami al radiocarbonio lo fanno risalire a oltre 2000 anni fa.

Il suo cuore è un articolato sistema composto da oltre 30 ingranaggi in bronzo e quando venne recuperato, nel 1901, era custodito all’interno di una scatola di legno riccamente istoriata. Come finì sulla nave romana è a oggi un mistero: una delle ipotesi è che fosse parte della dote di una nobildonna in viaggio verso la capitale per sposarsi.

ARCHEO SUB 
Per scoprirne di più gli archeologi si stanno preparando a scendere a 150 metri di profondità utilizzando speciali tute pressurizzate: questi gioielli tecnologici permetteranno loro di esplorare il relitto della nave romana per ore a caccia di dettagli. Un robot esplorerà il fondo marino prima degli scienziati e cercherà tracce di una seconda nave che si sospetta possa essere affondata nelle vicinanze.


CACCIA AL TESORO. 
Fino ad oggi i ricercatori hanno potuto esplorare la zona del naufragio fermandosi a soli 60 metri di profondità e recuperando 36 statue di marmo, gioielli, oro e resti umani.

«Ci sono ancora decine di oggetti sparsi sul fondo: questa nave trasportava immense ricchezze provenienti dall’Asia Minore» spiega alle agenzie di stampa Dimitris Kourkomelis, uno degli archeologi che sfiderà le profondità del Mediterraneo.

Ma il vero tesoro oggetto della ricerca sono i pezzi mancanti di antikythera.



greekpc


http://www.focus.it/cultura/storia/a-caccia-dei-segreti-di-antikythera

Il meccanismo di Anticitera - il primo computer della storia.
La macchina di Anticitera , nota anche come meccanismo di Antikythera, è il più antico calcolatore meccanico conosciuto, databile intorno al 150-100 a.C. Si tratta di un sofisticato planetario, mosso da ruote dentate, che serviva per calcolare il sorgere del sole, le fasi lunari, i movimenti dei cinque pianeti allora conosciuti, gli equinozi, i mesi, i giorni della settimana e – secondo uno studio pubblicato su Nature – le date dei giochi olimpici

Trae il nome dall'isola greca di Anticitera (Cerigotto) presso cui è stata rinvenuta nel relitto di Anticitera, resti di un naufragio avvenuto nel secondo quarto del I secolo a.C., contenenti, insieme a numerosi oggetti di quel tempo, anche la "macchina". È conservata presso il Museo archeologico nazionale di Atene.

Il meccanismo fu ritrovato nel 1900 grazie alla segnalazione di un gruppo di pescatori di spugne che, persa la rotta a causa di una tempesta, erano stati costretti a rifugiarsi sull'isoletta rocciosa di Cerigotto. Al largo dell'isola, alla profondità di circa 43 metri, scoprirono il relitto di una nave, naufragata agli inizi del I sec. a.C. ( probabilmente nel 65 a.C.)[senza fonte] e adibita al trasporto di oggetti di prestigio, tra cui statue in bronzo e marmo.

Il 17 maggio 1902 l'archeologo Valerios Stais, esaminando i reperti recuperati dal relitto, notò che un blocco di pietra presentava un ingranaggio inglobato all'interno. Con un più approfondito esame si scoprì che quella che era sembrata inizialmente una pietra era in realtà un meccanismo fortemente incrostato e corroso, di cui erano sopravvissute tre parti principali e decine di frammenti minori.
Si trattava di un'intera serie di ruote dentate, ricoperte di iscrizioni, facenti parte di un elaborato meccanismo a orologeria.
La macchina era delle dimensioni di circa 30 cm per 15 cm, dello spessore di un libro, costruita in rame e originariamente montata in una cornice in legno. Era ricoperta da oltre 2.000 caratteri di scrittura, dei quali circa il 95% è stato decifrato (il testo completo dell'iscrizione non è ancora stato pubblicato).

Il meccanismo è conservato nella collezione di bronzi del Museo archeologico nazionale di Atene, assieme alla sua ricostruzione.
Alcuni studiosi sostennero che il meccanismo fosse troppo complesso per appartenere al relitto e alcuni esperti ribatterono che i resti del meccanismo potevano essere fatti risalire a un planetario o a un astrolabio. Le polemiche si susseguirono per lungo tempo, ma la questione rimase irrisolta. Solo nel 1951 i dubbi sul misterioso meccanismo cominciarono a essere svelati. Quell'anno infatti il professor Derek de Solla Price cominciò a studiare il congegno, esaminando minuziosamente ogni ruota e ogni pezzo e riuscendo, dopo circa vent'anni di ricerca, a scoprirne il funzionamento originario.

Il meccanismo risultò essere un antichissimo calcolatore per il calendario solare e lunare, le cui ruote dentate potevano riprodurre il rapporto di 254:19 necessario a ricostruire il moto della Luna in rapporto al Sole (la Luna compie 254 rivoluzioni siderali ogni 19 anni solari).
L'estrema complessità del congegno era inoltre dovuta al fatto che tale rapporto era riprodotto con l'utilizzo di una ventina di ruote dentate e di un differenziale, un meccanismo che permetteva di ottenere una rotazione a velocità pari alla somma o alla differenza di due rotazioni date. Il suo scopo era quello di mostrare, oltre ai mesi lunari siderali, anche le lunazioni, ottenute dalla sottrazione del moto solare al moto lunare siderale. Sulla base della sua ricerca, Price concluse che, contrariamente a quanto si era fino ad allora creduto, nella Grecia del II secolo a.C. esisteva effettivamente una tradizione di altissima tecnologia.
Il meccanismo di Anticitera, nonostante non trovi eguali fino alla realizzazione dei primi calendari meccanici successivi al 1050, rimane comunque perfettamente integrato nelle conoscenze del periodo tardo ellenistico: vi sono rappresentati solo i cinque pianeti visibili a occhio nudo e il materiale usato è un metallo facilmente lavorabile.

Ad Alessandria d'Egitto infatti, durante l'ellenismo, operarono molti studiosi che si dedicarono anche ad aspetti tecnologici realizzando meccanismi e automi come la macchina a vapore di Erone. Inoltre, Cicerone cita la presenza a Siracusa di una macchina circolare costruita da Archimede e ascrivibile quindi alla fine del III secolo a.C., con la quale si rappresentavano i movimenti del Sole, dei pianeti e della Luna, nonché delle sue fasi e delle eclissi. Tuttavia l'unicità del meccanismo di Anticitera risiede nel fatto che è l'unico congegno progettato in quel periodo arrivato sino ai giorni nostri e non rimasto nel limbo delle semplici "curiosità".

Il meccanismo di Anticitera è a volte citato tra i casi di OOPArt (Out of place artifacts), i cosiddetti "manufatti fuori dal tempo", dai sostenitori dell'archeologia misteriosa, i quali non vi riconoscono un artefatto scientifico ellenistico.

Sul numero 498 di febbraio 2010 della rivista Le Scienze, un articolo a firma di Tony Freeth afferma che è stato ricostruito il metodo con cui il meccanismo prediceva le eclissi e le fasi lunari e avanza l'ipotesi che la costruzione dello stesso sia avvenuta nella città colonia greca di Siracusa.
L'opera La rivoluzione dimenticata - Il pensiero scientifico greco e la scienza moderna di Lucio Russo fornisce un approfondito studio delle dinamiche che hanno portato a una sottovalutazione storica delle conoscenze scientifiche della cultura greca ed ellenistica.

https://www.facebook.com/MagnaGreciaCommonwealth/posts/1757308357861720




venerdì 19 settembre 2014

Davide Quaranta. Il tempo ha rappresentato sempre motivo di grande interesse nelle varie discussioni scientifiche. In base alla teoria della relatività, teoria che fornisce il miglior quadro concettuale dell'idea tempo ed anche spazio, si esprimeva la dipendenza del tempo dall'altitudine. In generale, per misurare il tempo, si guardava la posizione del Sole nel cielo. Ma in realtà, non si stava misurando il "tempo vero", ma solo un possibile movimento del Sole. Ed infatti Newton comprese tutto chiaramente, scrivendo che l'esistenza di una variabile tempo è solo un'ipotesi, che mette ordine nelle nostre osservazioni sui movimenti degli oggetti, e non del tempo in sè. Considerando l'assunto di Newton, potremmo fare a meno di parlare di tempo in senso stretto, ma di posizione, ad esempio, del Sole nel cielo, o della posizione delle lancette di ogni orologio.





Il tempo ha rappresentato sempre motivo di grande interesse nelle varie discussioni scientifiche. In base alla teoria della relatività, teoria che fornisce il miglior quadro concettuale dell'idea tempo ed anche spazio, si esprimeva la dipendenza del tempo dall'altitudine. In generale, per misurare il tempo, si guardava la posizione del Sole nel cielo. Ma in realtà, non si stava misurando il "tempo vero", ma solo un possibile movimento del Sole. Ed infatti Newton comprese tutto chiaramente, scrivendo che l'esistenza di una variabile tempo è solo un'ipotesi, che mette ordine nelle nostre osservazioni sui movimenti degli oggetti, e non del tempo in sè. Considerando l'assunto di Newton, potremmo fare a meno di parlare di tempo in senso stretto, ma di posizione, ad esempio, del Sole nel cielo, o della posizione delle lancette di ogni orologio.






E, Davide Quaranta, in base a ciò che hai scritto, desumo che per me, pianista, il tempo consista solo nella diversa posizione delle dita sulla tastiera... Tradotto poi in diversa posizione dell'onda emessa dalla corda vibrante. Interessante! Non l'avevo mai pensata in questi termini.






In realtà sono teorie,tra le più importanti in assoluto,che permettono di considerare il tempo come un qualcosa di diverso rispetto alla concezione attuale! 
In pratica Newton riteneva che il tempo avesse un'unica direzione, procedesse lungo una linea infinita e che fosse eterno. Einstein rivoluzionò queste idee, sostenendo che sia lo spazio che il tempo fossero "relativi", cioè dipendenti dal sistema di riferimento in cui si trovi l'osservatore. Praticamente, per Einstein, spazio e tempo variano in funzione della velocità con la quale si muove l'osservatore rispetto ad un altro in quiete!




Il più antico calendario del mondo è stato scoperto in Scozia
Quando l'uomo ha iniziato a misurare il tempo? Secondo un recente rinvenimento archeologico effettuato nella regione dell'Aberdeenshire, migliaia di anni prima di quanto si credesse.

Un gruppo di archeologi britannici sostiene di aver portato alla luce il più antico strumento utilizzato dagli uomini preistorici per misurare il tempo: la scoperta risale al 2004 ma soltanto esami recenti approfonditi hanno confermato la natura di quello che potrebbe essere il calendario più "datato" tra quelli giunti nelle nostre mani. Nell'ambito di scavi condotti in un campo nei pressi di Crathes Castle, nella regione dell'Aberdeenshire, venne infatti ritrovata una serie di dodici buche allineate che, agli occhi dei ricercatori, sembravano riprodurre le fasi del nostro satellite, tracciando una sorta di calendario lunare: ora, gli studiosi della University of Birmingham ritengono che l'insolita struttura sarebbe il frutto del lavoro dei cacciatori-raccoglitori che vissero in quel territorio circa 10.000 anni fa e che, con quel rudimentale sistema di buche, scoprirono come misurare il tempo e le stagioni, attraverso i cambiamenti nel cielo della Luna
L'annuncio del ritrovamento è stato reso pubblico in un articolo della rivista Internet Archaeology.

Il "calendario" risalente al mesolitico conterebbe molti più anni di quella che fino ad ora si credeva la più antica prova archeologica della diffusione dell'idea di tempo presso i nostri progenitori: precedentemente, infatti, tale testimonianza era stata riscontrata soltanto nel Medio Oriente, per la precisione in quella Mesopotamia dove una delle grandi civiltà del passato mosse i propri passi. La capacità di concettualizzare e computare il tempo costituisce, in effetti, una delle più importanti conquiste del genere umano, ragion per cui la questione relativa alla "creazione" e alla nascita del tempo presso le popolazioni primitive è da sempre un punto critico per comprendere al meglio come determinate società si svilupparono. Ora questo ritrovamento suggerisce come già le società di cacciatori-raccoglitori avessero, quanto meno in Scozia, sia la necessità sia la capacità di tracciare il percorso del tempo lungo l'anno, con tanto di stagioni ben segnalate.

Il complesso di buche appariva orientato in direzione sudoccidentale ma con una evidente allineamento associato ad un punto ben segnato sul paesaggio, sul quale il Sole, 10.000 anni fa, proiettava le sue prime luci all'alba del giorno del solstizio invernale: la struttura si rivelava dunque utile a seguire al meglio il susseguirsi dei mesi lunari e delle stagioni, consentendo ai suoi fruitori di avere una dimensione precisa della scansione del tempo che soltanto uno strumento che svolge le funzioni di base del calendario può dare. Le dodici buche erano state scavate con forme differenti a riprodurre la Luna crescente o calante, in un arco di spazio ampio circa una cinquantina di metri; la fossa più grande, rappresentante la Luna piena, mostra un diametro di circa due metri.

«Per le comunità di cacciatori-raccoglitori della preistoria, conoscere i periodi dell'anno in cui le risorse alimentari erano disponibili poteva rivelarsi cruciale per la sopravvivenza. Tali comunità contavano fortemente sulle migrazioni degli animali da cacciare e la possibilità che questi eventi sfuggissero alla loro osservazione poteva diventare un fattore di rischio per le carestie. Avevano bisogno di essere attenti alle stagioni per esser pronti quando quelle che erano le loro principali risorse transitavano nei paraggi, ragion per cui da questa prospettiva, la nostra interpretazione del sito come di un calendario stagionale ha molto senso» ha spiegato il dottor Christopher Gaffney della University of Bradford. La questione del computo del tempo sarebbe diventata fondamentale soprattutto nelle fasi successive, quando le comunità iniziarono a stabilirsi e a conoscere le tecniche di allevamento e, soprattutto, di coltivazioni, ancor più strettamente connesse agli andamenti stagionali: ma, per questi uomini che impararono a distinguere i mesi lunari e le stagioni, l'epoca dell'agricoltura era ancora lontana.


http://scienze.fanpage.it/il-piu-antico-calendario-del-mondo-e-stato-scoperto-in-scozia/

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